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Giorgio Armani è morto, addio al poeta della misura che ha creato molto di più di un impero della moda

Strano affare, il destino. L’insieme di scelte, coincidenze e incontri fortuiti che plasmano un’esistenza. Giorgio Armani, stilista e imprenditore, è diventato il Re della moda italiana pur non avendo mai sognato di fare lo stilista. Artista delle proporzioni, poeta della misura, capitano lungimirante, Armani ha creato molto più di un impero di moda: ha inventato un’idea di eleganza tagliata e cucita per la vita reale, scegliendo sempre la strada della concretezza sulla teatralità, il buon gusto sulla provocazione.

Dalla medicina alla moda: la biografia di Re Giorgio

Nella biografia di molti stilisti, la folgorazione per la moda arriva prestissimo, addirittura da bambini. Giorgio Armani non è affatto tra questi, anche perché la sua infanzia venne segnata dalla guerra, dalla paura per gli arei e dalle sveglie nel cuore della notte per nascondersi in cantina. Rischiò anche di perdere la vista, quando dei ragazzini diedero fuoco a della polvere da sparo roppo vicino al suoi viso.

 Trasferitosi a Milano, si iscrisse alla facoltà di Medicina all’Università Statale senza particolare vocazione – per sua stessa ammissione – né particolare impazienza di fare il medico. La leva mise in pausa gli studi e, al ritorno, non riprese gli esami. Andò invece alla Rinascente di Milano con l’intenzione di trovare lavoro, qualsiasi lavoro. Fu assegnato al reparto di abbigliamento, ma non arrivò lì la chiamata del destino. Di nuovo, un altro lancio di dadi: l’incontro con Nino Cerruti nel 1965, designer e fine scopritore di talenti, che lo chiamò a lavorare con sé e gli lasciò disegnare la linea Hitman. In un’epoca in cui la parola stilista non esisteva ancora, Cerruti aveva visto nell’allora sconosciuto Giorgio Armani un gusto eccezionale, un occhio unico. A posteriori, è facile dargli ragione.

La prima sfilata e la nascita di Emporio Armani

Di nuovo ci si mise il caso – il destino, le Moire, come volete: un altro incontro, stavolta con Sergio Galeotti a Forte dei Marmi nel 1966. Fu lui a spingerlo oltre, a suggerirgli di disegnare su commissione e mettersi in proprio.

 La svolta arrivò nel 1974, con la sfilata che portava finalmente il suo nome a Firenze. L’anno dopo nacque Giorgio Armani Spa, che dal 1976 vestì anche la donna. Quella di Armani fu una rivoluzione condotta sottovoce, fatta di tagli e punti misurati con precisione chirurgica: i suoi abiti volevano vestire una donna sicura di sé che entrava nei posti di lavoro senza chiedere permesso. All’alba del power dressing, Armani disegnava abiti fatti per essere indossati e non solo ammirati, per seguire il corpo, accorciando la distanza tra le passerelle e i negozi. La funzione che incontra la forma. Armani prese la giacca – il suo diamante della corona – e riscrisse le regole della sartoria smontandola, sfoderandola, rendendola più leggera e rilassata sulle spalle. In una parola, destrutturandola. Sbaglieremmo a considerare oggi Armani un conservatore: è stato un innovatore in guanti di seta.

La copertina di Time e il successo di American Gigolò

Gli anni Ottanta furono anni di grande crescita, di affermazione e di successi. Nel 1981 arriva la linea più giovane e informale, Emporio Armani, con il celebre logo dell’aquilotto (disegnato scarabocchiando al telefono). Nel 1982, la consacrazione di Time, che lo mise in copertina per il suo “gorgeous style”, lo stile magnifico. Un onore riservato prima di lui solo ad un altro stilista (Christian Dior) e solo ad un altro italiano (Pirandello).

 Storica la rivalità – sapientemente colorata dalla stampa – tra Giorgio Armani e Gianni Versace: classico e discreto il primo, bohemien e audace l’altro. Insieme però portarono la moda italiana in tutte le sue declinazioni nel mondo, facendola trionfare a Hollywood. Il cinema deve molto ad Armani, e viceversa: in American Gigolò, Richard Gere tira fuori dall’armadio camicie, giacche e cravatte coordinate Armani. Fu meglio di qualsiasi spot pubblicitario: uno stile nuovo, per un uomo nuovo. Proprio quando tutti i riflettori erano accesi su di lui, arrivò l’ombra della morte prematura di Sergio Galeotti, con cui aveva costruito la sua azienda e condiviso la sua vita per anni. Galeotti morì a soli 40 anni, stroncato dall’Aids. Anni dopo, Armani confessò in un’intervista al Corriere: “Quando morì Sergio, morì una parte di me”.

Lo stile Armani

Negli anni non ha mai rivoluzionato il suo stile, piuttosto ha scelto di procedere per piccole pennellate, variazioni sul tema, nel segno della sua più grande qualità: la coerenza. È l’eleganza concreta che resiste alle giravolte del tempo e delle mode, senza lasciarsi sedurre dalle tendenze. È il completo blu notte che ci salva quando non sappiamo cosa indossare. Lo stile Armani è discreto senza essere timido, serio senza essere noioso, impeccabile senza essere snob.

 Ma Giorgio Armani non è stato solo la giacca: il suo senso essenziale dell’eleganza si aprì alle suggestioni del viaggio, in particolare alle influenze orientali, alle trasparenze e ai ricami preziosi. Accanto al suo iconico blu notte, simbolo di classe e charme, Giorgio Armani inventò un nuovo colore: il greige, un neutro a metà tra il grigio e il beige, ispirato alle sabbie del Trebbia. E ancora: il denim di Emporio Armani, le fragranze unisex, le linee sportive di EA7, la lunga storia d’amore con il cinema coronata da film come The Wolf of Wall Street. Nel 2005 lo stilista ha realizzato il sogno di sfilare all’Alta Moda di Parigi con la linea Armani Privé, una presenza fissa sui red carpet. Con un abito Armani non si sbaglia mai, e lo stilista nel tempo è stato molto attento a diventare una figura super partes, stimata anche da chi non ama o non segue la moda. È forse un caso che sia stato il designer scelto da Giorgia Meloni per presentarsi come prima donna presidente del consiglio? Armani, da questo punto di vista, è stato un designer apolitico: è un orgoglio nazionale, trasversale, capace di mettere d’accordo un po’ tutti.

La solidarietà e l’impegno civile di Giorgio Armani

Pur avendo i numeri per farlo, Armani non ha mai voluto cedere il brand ai conglomerati del lusso internazionale. Né, tantomeno, andare in pensione e lasciare la sua azienda nelle mani di un altro stilista. Anzi: a 90 anni, ha detto di sé, ha disegnato la sua collezioni più belle. C’è un’immagine che più di tutte cristallizza l’impegno certosino che Armani ha sempre riversato nella sua creatura: le foto virali in cui sistema i manichini della boutique in via Montenapoleone, lavoro che avrebbe potuto fare chiunque per lui. Se Giorgio Armani è entrato nel cuore di tutti gli italiani non è solo per i suoi abiti o per il senso unico dello stile, ma per il continuo impegno verso gli altri. In modo discreto ma concreto, da vero gentiluomo di altri tempi. Nel febbraio 2020, fu tra i primi a decidere di sfilare a porte chiuse, intuendo i rischi del coronavirus, e di tutelare così i suoi dipendenti e gli ospiti. Allo scoppio della guerra in Ucraina, proprio nei giorni della Settimana della Moda milanese, sfilò in silenzio, senza musica, in segno di rispetto. Per poi donare 500mila euro all’Organizzazione delle Nazioni Unite per i rifugiati. E ancora: dopo gli incendi che sconvolsero Pantelleria, isola che considera una seconda casa, fu in prima linea per aiutare le comunità colpite. Anche se la successione era già stata preparata da tempo con Leo Dell’Orco e con la nipote Silvana Armani, il vuoto lasciato dallo stilista sarà difficile da riempire. Con lui la moda poteva contare su una qualità tanto necessaria quanto sottovalutata in un mondo votato alla viralità: il senso della misura. Il Re è morto, lunga vita al Re.


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