Cultura

Giardini Di Mirò, non è un addio

Credit: Matteo Serri – Corrado.nuccini, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

La rapsodia musicale dei Giardini di Mirò, con i suoi differenti spunti melodici, alcune volte più criptici e introspettivi, altre volte più ampi e collettivi, con le sue ritmiche, magmatiche e incalzanti, e con le sue divagazioni, acide e psichedeliche, ha attraversato le stagioni, fluide e differenti, del nuovo millennio, abbracciandone, puntualmente, le stupefacenti e sofisticate scoperte tecnologie, le innovazioni scientifiche e gli spunti più sorprendenti e interessanti, ma anche, ovviamente, le contraddizioni più nefaste, più odiose e più auto-distruttive. Senza mai perdere, però, il fondamentale e prezioso rapporto con la nostra umanità, con la burrascosa, bellicosa e violenta storia del Novecento e con le sonorità, accattivanti e visionarie, di matrice post-rock, noise-rock e shoegaze, provenienti dagli anni Novanta, facendo sì che anche la marginale e periferica Italia potesse essere toccata da queste trame ed atmosfere sonore, sperimentali, dilatate e vibranti, strumentali e progressive, plumbee ed oscure, ma anche meravigliosamente intrise, oltre le nubi frenetiche del caos, di nuovi e luminosi sogni, di nuovi e luminosi linguaggi e, soprattutto, di nuove e luminose speranze.

Un percorso che ha spaziato, in lungo e in largo, nella dimensione artificiale dei sintetizzatori e delle drum-machine, ma anche in quella più analogica e canonica della chitarra, del basso e della batteria, aprendosi, di volta in volta, a seconda dell’umore, a seconda della tematica, a seconda della curiosità, a tastiere e violini, a pianoforti e contrabbassi, e arrivando, dunque, ad assimilare, nei loro album, anche le narrazioni più armoniose, più leggere e più pop della nostra tradizione cantautoriale, destrutturandole, assaporandole e ricomponendole alla luce delle loro epiche, suadenti e trascendentali architetture space-rock, ambient, elettroniche e indie-rock.

Una musica originale ed eterogenea, capace di guardare alle urgenze metropolitane contemporanee, alla avanguardie artistiche in continua evoluzione, al dub e al free jazz, ma anche all’io più lunatico, più volubile, più viscerale e più instabile, diventando sempre più matura, sempre più consapevole della fragilità, della temporaneità e della necessità di andare ben oltre quelle che sono solamente apparenze formali, mode istantanee, estetiche virtuali, tendenze mediatiche passeggere o vuoti e pericolosi slogan politici.

Cavriago e le le intemperanze rumorose dei Sonic Youth, la combattiva Emilia e la cruda poesia dei Massimo Volume, un garage anonimo nel quale l’immaginario musicale mediterraneo e quello anglosassone entrano in sorprendente e positiva osmosi tra di loro, mentre la scena indie-rock italiana riesce, finalmente, ad esistere, ad avere una propria voce, a farsi ascoltare, a narrare le sue storie e le sue leggende, i suoi miti e i suoi eroi, e a rappresentare una generazione che, ancora oggi, si accalca davanti ad un palco, si emoziona per un buon disco, soffre e sorride, ascoltandolo dall’inizio alla fine, senza ridurre tutto ad un definito e limitato ritornello, ad una breve hit radiofonica, ad una rappresentazione univoca, unidirezionale, monocolore e monotematica della musica, dell’arte, della vita stessa e, quindi, della realtà.

Una realtà che, vogliono convincerci, non ha più bisogno delle diverse prospettive, dei diversi orizzonti, delle diverse tonalità, delle diverse ragioni, delle diverse esperienze e delle diverse sensibilità, che anche i Giardini di Mirò hanno contribuito a diffondere e ad amplificare, ma che può essere ridotta e ridimensionata ad un’unica idea, ad una sola buona, giusta e corretta visione del mondo. Una visione che viene sapientemente addolcita, ottimamente pubblicizzata e resa assolutamente appetibile e desiderabile, ma che, sotto, sotto nasconde sempre quelle che sono le medesime, antiche, sporche, stantie, padronali, paternaliste e arroganti narrazioni politiche, sociali, etiche, religiose ed economiche.

Una pioggia di cenere tossica che ricopre, corrompe e corrode ogni verità e ogni sentimento, ogni emozione e ogni percezione della nostra realtà, ma sotto di essa, sotto i suoi soprusi, sotto le sue guerre, sotto le sue menzogne e le sue prepotenze, il fuoco della passione, dell’amicizia e dell’amore è vivido, presente ed incontaminato, adesso, come alla fine degli anni Novanta, qui, come in quel garage e in milioni di altri garage, perché, qualsiasi sia la vostra destinazione, ragazzi, il vostro spirito e la vostra energia saranno sempre gli stessi.

Grazie.


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