Gianluca Becuzzi – American Requiem: Un de profundis per l’America :: Le Recensioni di OndaRock
Il declino dell’impero americano
di Peppe Trotta
Un nuovo tassello si aggiunge alla collaborazione attiva dal 2020 che vede Gianluca Becuzzi produrre a cura della St.An.Da/Silentes di Stefano Gentile. Un legame solido dal quale sono fin qui scaturiti quattro album doppi incentrati sulla correlazione sacro/suono indagata avvalendosi del ripescaggio e della revisione di istanze dell’avanguardia novecentesca. Per il quinto capitolo della serie – sempre pubblicazione duplice – l’interesse del musicista toscano si sposta dal mito indù della dea Kali alla decadenza dell’era capitalistica incarnata dallo stato socio-politico statunitense.
L’impasto scurissimo di drone music e trame doom, nutrito dalle modulazioni di chitarre affilate, rimane invariante solida, ma agli echi etnici del predecessore si sostituiscono qui elementi estrapolati dalla tradizione musicale americana. Il dark-ambient introduttivo di “Oh Death Part I” volge in un canto blues ancestrale, innescando un cortocircuito temporale dal quale scaturisce un magma sulfureo che nella successiva “Rising And Falling” vede primeggiare la voce di Nero Kane su un substrato profondamente oscuro. È un mood spettrale che investe l’intero lavoro, le cui due parti seguono l’identico schema composto da una traccia bi-partita posta ad apertura e chiusura con due flussi dilatati nel mezzo.
Nella sua seconda parte, incastrata dalle due metà di “U.S. Ghosts”, la dimensione apocalittica dell’insieme viene spinta verso un senso di desolazione estrema, assumendo una forma convulsa di voci e suoni in disfacimento prima di ritrovare impeto nel glaciale espandersi di “Desert Widows” e riversarsi in un requiem dolente senza possibilità di redenzione. Quella messa in atto da Becuzzi è una critica feroce sotto forma di un rituale sonoro più incisivo delle parole.
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Un drone che prende vita
di Valerio D’Onofrio
Il canto degli schiavi americani, il blues autentico delle origini, le registrazioni sul campo di Alan Lomax: che tutto questo abbia rappresentato una parte del sogno americano o, al contrario, la cartina di tornasole di una società fondata sull’ineguaglianza, è il cuore concettuale del nuovo lavoro del maestro dei droni Gianluca Becuzzi.
Gli elementi della tradizione country blues, le voci dei predicatori, i canti arcaici vengono immersi in un mare dronico violento che li avvolge, li strappa dalla loro data d’origine e li rende eterni. Una campana a morto per ciò che resta del sogno americano, un sogno ormai divenuto requiem che intona la propria fine (“The Time Is Over”).
Becuzzi fa emergere dal passato il tipico canto blues degli schiavi (“Oh Death”), in cui la morte appare come l’unica fuga possibile da una vita di costrizioni, accanto a urla di predicatori invasati e cantilene sospese sul confine sottile tra la vita e la morte. Divisa in due parti, “Oh Death” è il manifesto del disco, la sintesi più limpida della sua visione musicale: nella prima, lente note di chitarra si susseguono fino a lasciare spazio alla registrazione di un predicatore, la cui voce si sovrappone allo strumento per poi esserne lentamente travolta; nella seconda, tutto si fonde in un magma sonoro indivisibile.
Il drone di metallo dei Sunn O))) diventa protagonista in “Rising And Falling”, con i testi di Nero Kane: le vibrazioni delle corde sono fisiche, oppressive, mentre una melodia ripresa da “Passover” dei Joy Division costruisce un’impalcatura sonora imponente.
“Rethoric And Fear Of God”, con i suoi sedici minuti, omaggia uno dei grandi amori di Becuzzi, gli Swans di Michael Gira, attraverso un brano-monstre fatto di muri sonori, distorsioni e lenti collassi emotivi. Il canto di “The Time Is Over” suona come un presagio, un epitaffio anticipato. E lo stesso vale per “U.S. Ghosts” (anch’esso diviso in due parti), che sottolinea la persistenza hauntologica di una vecchia America, sopravvissuta come fantasma immortale nelle viscere di una nuova nazione sventrata da divisioni di ogni tipo. Le registrazioni si susseguono formando un vortice di parole che si accavallano fino a diventare incomprensibili. La seconda parte assume tratti apertamente religiosi, poi interrotti da urla che non possono condurre a nulla se non ad altre urla: metafora perfetta dell’incomunicabilità di una nazione spezzata.
“American Requiem” è un’esperienza concettuale e sonora radicale, un drone che prende vita e inizia a comunicare – ma solo con chi ha il coraggio di intraprendere davvero questo viaggio.
14/12/2025




