Piemonte

Gian Enzo Sperone da Torino al mondo


Questa nota è rivolta ai pochi che seguono l’arte contemporanea e ai pochissimi che l’hanno frequentata negli anni Sessanta del secolo scorso quando la città, grigia e operosa, viveva intorno ai ventidue stabilimenti Fiat andando a dormire presto, Ed è dedicata a un torinese che in quegli anni ha iniziato un’avventura straordinaria che lo ha portato a diventare uno dei grandi galleristi (e collezionisti) del mondo: Gian Enzo Sperone. Giovanissimo e di formazione letteraria inizia a lavorare nel 1961 nella galleria Galatea di Mario Tazzoli che, insieme alla galleria Notizie di Luciano Pistoi era il riferimento espositivo della città e dei suoi giovani artisti. Pochissimi anni dopo, in uno spazio aperto in via Cesare Battisti 15, riesce a presentare i principali esponenti della Pop Art americana di cui si era invaghito: «Gli artisti americani sanno essere epici ed emozionali senza essere sentimentali. Non parlano di sé. Usano il linguaggio come professori di linguistica che, senza volerne, irridono l’analisi logica, spostano i termini della sintassi con un candore per noi impraticabile. Prendi Warhol, guarda la televisione, fa cose ordinarie, adora la strada e un fotogramma anonimo, banale, scelto da lui sotto un colore arbitrario e stridente, ingigantito e ripetuto, diventa un’icona». Dal 1964 riesce a portare a Torino le opere di Rauschenberg, inaugura le prime personali in Italia di Rosenquist, di Warhol, di Dine e di Wesselmann, ben prima che la Gam riesca a dedicare una rassegna alla Pop Art newyorkese e da allora si intrecciano i rapporti con i giovani italiani emergenti come Pistoletto, Pascali, Gilardi, Mondino, Griffa, Calzolari, Kounellis, Zorio e così via negli spazi di corso San Maurizio. Inizia un’attività incessante che lo porta a diventare un cittadino del mondo: apre una galleria a Roma, poi un primo spazio in Greene Street a New York e diventa grande mercante internazionale che si accompagna al suo privato di collezionista. E come tutti i borghesi illuminati giunge anche il tempo della restituzione, condividendo con la propria comunità, se non il vissuto, almeno il posseduto.

Sono iniziate le donazioni alle istituzioni pubbliche. L’ultima riguarda un lascito di 33 opere all’Accademia romana di San Luca che sarebbe dovuto approdare alla Reggia di Venaria. Non è stato così, ma questa è un’altra storia.


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