Georgia Duncan – Four Ways To The Sun: Il ricco esordio di una nuova stella londinese :: Le Recensioni di OndaRock
Nel volgere lo sguardo alla scena nu-jazz, si nota una leggera stasi in un ambito stilistico che ci ha regalato buone vibrazioni nell’ultimo ventennio: GoGo Penguin, Portico Quartet, Jaga Jazzist, Stuff, Makaya McCraven. Ancora più evidente è la mancanza di voci femminili o maschili capaci di traghettarne il fascino presso un pubblico più ampio e meno settoriale, come è accaduto in passato anche attraverso personaggi appartenenti ad ambiti folk e pop-rock.
Non è questione di tecnica o di talento (basti pensare al debole riscontro di Lauren Kinsella degli Snowpoet) quanto di una fortunata sinergia tra qualità della proposta e appeal mediatico del personaggio.
Ci prova ora Georgia Duncan, nuova speranza del folk-jazz made in England (autrice di un Ep nel lontano 2021), che per l’album d’esordio “Four Ways To The Sun” ha assoldato un trio di musicisti di spessore, composto dalla brava bassista Ruth Goller, dal batterista italo-pakistano Yusuf Ahmed e dal chitarrista londinese Harry Christelis (questi ultimi due autori di un’interessante collaborazione dal titolo “Live At Mu”).
Una buona padronanza e versatilità vocale emergono già dalle note inaugurali dell’album. Il primo brano, “Reasons”, è puro folk-jazz, tanto devoto all’ormai iconica Joni Mitchell quanto ad artiste contemporanee di spessore come Chantal Acda, l’intreccio strumentale è amabile ma non proprio ordinario (splendido l’assolo di Christelis), una qualità che la fa da padrona per il prosieguo di un disco imprevedibile.
La successiva “If I Asked” tradisce già dal titolo il richiamo a una tradizione di autrici dal tratto elegante e lussuoso (da Jessica Pratt a Joan Shelley), ma le prime sorprese giungono con l’ottima “Linger”: il drammatico dialogo tra basso e tastiere assume toni sempre più inquietanti, spostando l’asse verso un graffiante intreccio tra Beth Gibbons e Bill Frisell. Il tocco della chitarra diventa carnale, aspro, un coro di voci riempie gli spazi vuoti, ed è pura estasi.
Rotti gli argini, Georgia Duncan affronta paesaggi sonori sempre più stratificati e complessi. Un misticismo etereo e impalpabile si impossessa della voce dell’artista per una preghiera goth-folk-jazz a tal punto rarefatta che sembra perennemente sul punto da frantumarsi in polvere. La splendida “Song From A Yew” è una discesa nell’oscurità che si tinge di inquieti cori gospel (“Mud Slick & Feather”) per poi riabbracciare la luce. Ed è quel che accade prima nella complessa “What You Thought Was Missing”, una raffinata escursione ai confini del folk-jazz con flauto ed elaborati tempi ritmici al seguito, che anticipa la potente “The Walls”, una canzone che, oltre a un crescendo di percussioni e batterie perfettamente incastrate su un corpo strumentale folk-jazz, offre un’incursione nei meandri del progressive.
L’abilità dell’autrice nel passare dai toni rarefatti ed eterei di “Stillness” e “Opening” a quelli minimali di “Flight”, calandoli in un contesto strumentale di inusuale bellezza non privo di azzardo e sorprese (le già citate ““Linger”, “What You Thought Was Missing”) è in fin dei conti impressionante.
“Four Ways To The Sun” è un esordio ricco e maturo, e Georgia Duncan è uno dei nomi da tenere d’occhio per il futuro.
06/11/2025




