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Gas, minerali, petrolio nell’isola che fa gola alle potenze mondiali


Gas, minerali, petrolio nell'isola che fa gola alle potenze mondiali

La base aerea americana più a Nord si trova in Groenlandia. Una fetta di terra strategica comprata dalla Danimarca nel 1953 dove è sorta la piazzaforte di Thule, nome leggendario, che sul fronte dell’Artico si contrappone a quella russa di Trefoil inaugurata nel 2017 da Vladimir Putin in persona. La Groenlandia terra di ghiacci con meno di 60mila abitanti, aspra e triste, è un tassello geopolitico cruciale del nuovo fronte di «battaglia» all’estremo Nord, che coinvolge Stati Uniti, Russia e Cina. Il presidente Donald Trump vuole addirittura comprarla dalla Danimarca. Gli indipendentisti di centrodestra, vincitori delle elezioni, non hanno intenzione di diventare la nuova stella della bandiera Usa, ma sganciati da Copenhagen, i rapporti con Washington potrebbero diventare più stretti.

«L’indipendenza dalla Danimarca – sottolinea Isabella Rauti, sottosegretario alla Difesa – avrebbe importanti ricadute economiche sull’isola che necessita di aiuti finanziari e sostegni politici». Rauti è sulle Dolomiti per seguire l’esercitazione Volpe bianca, che testa le truppe dell’esercito in ambienti estremi, proprio come l’Artico. E oggi a Dobbiaco si apre l’Arctic forum, conferenza internazionale organizzata dal comando delle truppe alpine «che riunisce esperti militari, diplomatici, accademici e industriali per affrontare le sfide della regione artica attraverso una visione strategica comune». Rauti fa notare che «il cammino per l’indipendenza dalla Danimarca risale al 2009 ma solo ora la partita è davvero aperta».

L’importanza strategica della più grande isola del mondo, fra Eurasia e Nord America, non riguarda solo la posizione, ma soprattutto il «forziere» nascosto nel sottosuolo. L’isola è ricca di petrolio, gas, piombo, oro e zinco. Il governo sconfitto dalle urne puntava sull’avvio dello sfruttamento delle risorse minerarie di Kvanefjeld per potenziare il bilancio dell’isola. I verdi però hanno sempre puntato i piedi, continuando a sperare nella pesca dei gamberetti. Secondo l’agenzia geologica americana, il sottosuolo dell’isola nasconde il 13% delle risorse mondiali di petrolio e il 30% di quelle di gas. Fra le pietre preziose spiccano rubini e diamanti, ma pure minerali critici e terre rare, ben più importanti del Donbass. Lo scioglimento dei ghiacci porterà alla luce giacimenti, ancora da esplorare, del valore di 300-400 miliardi di dollari.

Non solo: la Groenlandia è ricca di uranio, ma la sua estrazione è un tabù per i locali. Il paese, però, potrebbe ricoprire un ruolo da protagonista sul mercato del nucleare. «Altre nazioni come il Canada e la Francia hanno miniere di uranio – spiega Ib Laursen, direttore delle operazioni della Shell – Se possono farlo loro, possiamo farlo anche in Groenlandia, ispirandoci ai migliori standard ambientali e mettendoli in opera».

Un Eldorado che fa a gola a molti, prima di tutto le superpotenze pure per le future rotte commerciali marittime, grazie allo scioglimento dei ghiacci, che abbatteranno costi e

tempi di navigazione fino al 30%. La Cina punta a «una via polare» e la Russia è la principale azionista controllando il 50% dell’Artico. La fragile Groenlandia rischia di fare la fine del vaso di coccio fra i vasi di ferro.


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