Gas, Ets e combustibili solidi: prezzi alti e regole più stringenti
Il mercato globale del gas naturale e del Gnl resta in equilibrio precario, sospeso tra domanda in risalita e offerta che si sta lentamente ampliando. Dopo gli shock del triennio 2021-23, i prezzi non hanno più toccato picchi emergenziali, ma continuano a muoversi su livelli storicamente elevati. È quanto emerge dal nuovo rapporto di Argus Media, società internazionale di analisi, dati e benchmark sui mercati delle commodity energetiche.
Lo studio, dal titolo “Solid Fuels Midyear Insights 2025/26”, prende in esame l’andamento dei principali combustibili solidi — carbone, biomasse e petroleum coke (petcoke) — e il loro confronto competitivo con gas ed emissioni Ets, mettendo in luce come i diversi mercati si influenzino a vicenda tra spinte geopolitiche, vincoli normativi e domanda in trasformazione.
Lo studio rileva che al Ttf di Amsterdam, l’hub di riferimento europeo, le quotazioni del gas si attestano intorno a 11 dollari per milione di Btu, valori che fino al 2020 sembravano impensabili. L’inverno rigido e il blocco dei flussi russi via Ucraina hanno rilanciato i consumi residenziali e spinto l’Europa a pescare più Gnl possibile, sottraendo carichi all’Asia. Parallelamente, la debolezza dell’economia cinese e la crescita delle pipeline dalla Russia hanno contenuto la domanda asiatica, mentre un aumento della capacità di liquefazione mondiale, trainato da nuovi impianti statunitensi, promette di alleggerire la tensione nei prossimi 12 mesi.
L’andamento del gas ha avuto riflessi anche sul mercato europeo delle emissioni: a inizio 2025 le quotazioni Ets sono salite insieme ai prezzi del gas, salvo poi rientrare ai livelli di fine 2024. A pesare non è stato solo il raffreddamento del gas, ma anche la debolezza industriale e la crescita delle rinnovabili, che riducono la domanda di permessi. Le prospettive a medio termine restano comunque di progressivo irrigidimento: il cap annuale calerà di oltre il 4% l’anno fino al 2030, dal 2026 le navi dovranno coprire il 70% delle proprie emissioni (100% dal 2027) e finiranno le assegnazioni gratuite all’aviazione. Inoltre, l’avvio del Cbam, il meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere introdotto dall’Unione europea, potrebbe innescare acquisti aggiuntivi di quote come forma di copertura. Un’architettura che promette un rialzo strutturale della domanda di permessi nel giro di due anni.
Le biomasse restano una componente strategica nel mix europeo, ma il settore affronta sfide regolatorie e di mercato. L’inverno 2024-25 ha visto prezzi in crescita dei pellet industriali fino a 191 dollari/t cif Nwe. Tradotto: una tonnellata di pellet industriale, consegnata nei porti dell’Europa nord-occidentale con trasporto e assicurazione inclusi, è costato in media 191 dollari nell’inverno 2024-25. I prezzi sono stati sostenuti dalla corsa alle scorte e dalle regole imminenti sul regolamento Ue deforestazione (Eudr). Ma la prospettiva di medio periodo è segnata da scadenze cruciali: con il tramonto dei sussidi governativi in Regno Unito e Paesi Bassi dopo il 2027, e la complessa trasposizione della direttiva Red III, i consumi potrebbero subire un ridimensionamento drastico. Per esempio, Drax, il più grande produttore di energia da biomassa del Regno Unito e uno dei più grandi al mondo, ridurrà del 40% il ricorso ai pellet già dal 2027.
Sul fronte del carbone, la fotografia è duplice. Da un lato, la produzione interna di Cina e India continua a crescere (+5% atteso per la Cina nel 2025), comprimendo le importazioni via mare: Pechino scenderà a 280 milioni di tonnellate quest’anno, dopo i 363 del 2024. Dall’altro lato, Europa e Asia restano in bilico: i consumi giapponesi e sudcoreani potrebbero aumentare nel breve per caldo estivo e fermo nucleare, mentre il Vecchio Continente mantiene il carbone come valvola di sicurezza in caso di picchi del gas. Le prospettive di export per i grandi fornitori restano fragili: Indonesia in calo a 485 milioni di tonnellate (da 558), Russia sostenuta da sussidi statali, Colombia penalizzata da tasse crescenti e domanda debole.
Ancora più debole la traiettoria del petroleum coke, sottoprodotto della raffinazione petrolifera usato come combustibile alternativo al carbone. Dopo l’impennata di inizio anno, i prezzi sono scesi bruscamente per domanda stagnante e noli marittimi in aumento. Gli Stati Uniti, primo esportatore, hanno visto bloccare i flussi verso la Cina per effetto della guerra commerciale, mentre India e Turchia hanno preferito tornare al carbone, più competitivo. Anche sul petcoke, dunque, si ripropone la stessa dinamica che domina oggi l’intero scenario dei combustibili solidi: costi elevati, incertezza geopolitica, pressioni normative e un lento ma inesorabile spostamento della domanda verso alternative meno carbon-intensive.
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