Garlasco, il “film” dei movimenti del killer nelle sentenze su Stasi: lanciò il corpo di Chiara dalle scale e non scese nella taverna
Mentre la procura di Pavia, giorno dopo giorno, raccoglie gli elementi che ritiene utili per collocare Andrea Sempio sulla scena del delitto di Garlasco – rivalutando impronte, facendo analizzare tracce e reperti non valorizzati, attribuendo Dna e indagando su scontrino e biglietti – vale la pena rileggere negli atti dei processi ad Alberto Stasi il “film” dell’omicidio di Chiara Poggi. Una ricostruzione raggiunta dopo i 5 processi all’ex fidanzato – i due in cui è stato assolto, i due in cui è stato condannato e la Cassazione. La 26enne, che tolse l’allarme e aprì in pigiama la porta, fu colpita al volto e al cranio e poi lanciata dalle scale: l’assassino – hanno ricostruito le sentenze che hanno portato alla condanna – non fece i gradini della tavernetta, dove poi sulla parete destra è stata rivalutata un’impronta parziale del 37enne indagato nella nuova indagine. Ecco cosa si vede leggendo gli atti che nel corso degli anni sono stati utilizzati per giudicare l’ex bocconiano che si è sempre dichiarato innocente, ma è stato considerato colpevole “oltre ogni ragionevole dubbio” dalla Cassazione, nonostante l’andamento delle indagini non fosse stato limpido.
La dinamica – Ci sono due mani insanguinate dell’assassino che si ferma sulla soglia delle scale della cantina, lancia il corpo della ragazza e non calpesta neppure un gradino dove la ventiseienne viene trovata senza vita con il volto intriso di sangue: la vittima aveva tagli sulla fronte e il cranio sfondato da almeno dieci colpi, presumibilmente di un martello. Secondo quanto stabilito da indagini e perizie tra il 2007 e il 2015, la villetta di via Pascoli a Garlasco restituisce l’esatta dinamica di quanto accaduto la mattina del 13 agosto 2007. Fatti che sono costati una condanna a 16 anni di carcere per l’allora fidanzato Alberto Stasi e che ora vanno letti per capire se e come il nuovo indagato possa essere collocato lì, in quel giorno e in quelle ore.
L’impronta delle scarpe – Il killer lascia il suo biglietto da visita in casa con l’impronta delle ‘scarpe a pallini’ – marca Frau numero 42, sentenzia l’ultima perizia – si muove e si ripulisce come qualcuno che conosce bene quegli spazi. La 26enne apre la porta al visitatore, in pigiama, e non ha il tempo di reagire: non urla, non si divincola, sembra quasi inerme: “aveva così fiducia da non fare assolutamente niente, tanto – scrivono i giudici – da venire massacrata senza alcuna fatica, oltre che senza nessuna pietà”.
Chiara Poggi viene colpita a pochi passi dall’ingresso, batte il capo, le sue mani si contraggono e strisciano sul pavimento, viene colpita ancora, quindi l’assassino la solleva con entrambe le mani – pesa poco meno di 50 chili – e la getta sulle scale che portano in cantina. Lo fa senza scendere neppure un gradino di quella scala: la suola intrisa di sangue si ferma sull’uscio, al livello del piano dove finiscono le mattonelle in cotto e iniziano i gradini in marmo.
Stasi, che calza il 42, consegnò le sue scarpe che furono analizzate: neanche una traccia di sangue. Impossibile, secondo i giudici che lo hanno condannato, che non si fosse sporcato le suole in quel mare di sangue. Nel processo d’appello bis poi la procuratrice di Milano, Laura Barbaini, inviò la polizia giudiziaria a Spotorno (dove la famiglia Stasi andava in vacanza) per accertarsi di un acquisto da parte del giovane di un paio di scarpe che potevano essere Frau o Geox. Accertamento che rimase senza conseguenze per mancanza di tempo.
I movimenti dell’assassino – Il passo insanguinato e deciso – come riporta anche Adnkronos – si muove verso il bagno, si porta nella saletta in fondo, poi raggiunge la cucina e quindi l’uscita. Su quella scala ripida, senza corrimano, con 13 gradini e due curve il corpo di Chiara scivola e si ferma: la testa sul nono gradino è verso il basso e un lato del volto è ben visibile. Sulla maglia rosa del pigiama, all’altezza della spalla sinistra, ci sono quattro tracce dei quattro polpastrelli insanguinati dell’assassino, cui corrisponde, nella parte anteriore della stessa maglia un frammento di impronta palmare insanguinata. Impronte mai analizzate perché il corpo viene girato e la maglia arriva al medico legale completamente intrisa di sangue. Eppure quella foto della vittima mostra come è stato afferrato il corpo per “scaraventarlo” in fondo alla scala, e come l’assassino “si fosse sporcato le mani, e avesse avuto la necessità di andare a lavarsele in bagno” scrivono i giudici. Si lava – da casa Poggi mancano anche alcuni asciugamani – e sul dispenser portasapone restano due impronte: sono di Alberto Stasi e sono su un oggetto che per ultimo ha toccato l’assassino. E sul tappetino dove sosta il killer – hanno stabilito le sentenze che hanno portato alla condanna di Stasi – resta l’impronta della scarpa ‘a pallini’, di un numero che l’allora bocconiano poteva calzare a differenza di Sempio che calza il numero 44.
Le risposte dall’incidente probatorio – In attesa dell’incidente probatorio sul match tra il Dna di Sempio e il materiale trovato sulle unghie della vittima (impossibile stabilire se sotto o sopra perché furono messe in provetta per essere analizzate, ndr), in quella casa dell’indagato c’è solo – secondo la nuova consulenza tecnica della Procura di Pavia – un’impronta della mano destra sulla parete delle scale che portano in cantina. Gradini che l’assassino, secondo la ricostruzione certificata dalle sentenze, non calpesta.
Così nella sentenza passata in giudicato nel 2015 il ragazzo perbene e lo studente modello che i giudici definivano con “la passione per la pornografia” (ma Stasi è stato assolto invece per le contestazioni su materiale pedopornografico, ndr) uccide senza pietà e disprezzo Chiara Poggi diventata “per un motivo rimasto sconosciuto, una presenza pericolosa e scomoda, come tale da eliminare”. Chiara Poggi, “sola vittima di questo processo” viene uccisa “dall’uomo di cui si fidava e a cui voleva bene, che l’ha fatta definitivamente ‘scomparire’ in fondo alle scale”. Dopo averla uccisa, per i giudici, “è riuscito con abilità e freddezza a riprendere in mano la situazione, e a fronteggiarla abilmente, facendo le sole cose che potesse fare, quelle di tutti i giorni: ha acceso il computer, visionato immagini e filmati porno, ha scritto la tesi, come se nulla fosse accaduto. La condotta da lui tenuta non è stata per nulla collaborativa, ma al contrario fuorviante e finalizzata ad allontanare i sospetti dalla sua persona: ha da subito sviato le indagini ipotizzando un incidente domestico e ha progressivamente messo a disposizione degli inquirenti ciò che, nel tempo, assumeva via via qualche interesse investigativo. Non tutto però, ed in tal modo è riuscito a rallentare gli accertamenti a proprio vantaggio, anche grazie agli utili errori commessi dagli stessi inquirenti”, si legge nelle motivazioni del 2014. Ma allora come oggi Stasi sostiene di non averlo fatto e la procura di Pavia è convinta che Andrea Sempio, in concorso con lui o con ignoti, fosse sulla scena del crimine a impugnare l’arma.
Source link