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Gabriele Muccino: «Nell’Ultimo bacio volevo metterci un morto, ma solo oggi sono passato al brivido. Non ho però cambiato rotta»

Arriva Gabriele Muccino all’incontro stampa del suo nuovo film, Fino alla fine, e in pochi minuti è già seduta di psicanalisi: «Questa è un’esperienza masochistica: mettersi sempre nella condizione di essere giudicato. Era la cosa che odiavo di più da adolescente, quando balbettavo e nel cinema pensavo di aver trovato la soluzione, un modo per comunicare attraverso altri corpi, quelli degli attori. Invece sono finito di nuovo nello stesso schema».

È alla Festa del cinema di Roma con il cast del suo tredicesimo film – tra cui l’esuberante Elena Kampouris, Saul Nanni e Lorenzo Richelmy – che insieme è molto «mucciniano» e totalmente nuovo: ci sono i ragazzi, le relazioni disfunzionali, i tormenti dell’animo, parecchie urla, ma c’è anche parecchio brivido, il pericolo, il Male, lo sconfinamento nella zona d’ombra. È la storia di Sophie (Elena Kampouris), una ragazza americana con qualche trauma irrisolto che arriva a Palermo in vacanza e che, dopo l’incontro con un ragazzo e i suoi amici, vivrà una notte spericolata che cambierà per sempre il corso della sua vita. Succede tutto nell’arco di una giornata, e infatti «Fuori orario di Martin Scorsese è stato il mio faro», spiega Muccino. «Era da tempo che volevo mettere al centro una donna e in modo organico è nata Sophie con la trama: una ragazza di provincia che continua a compiere scelte consapevolmente rischiose perché le manca la vita e vuole viverla nel modo più assoluto e definitivo, al confine con l’autodistruzione: è pronta anche a morire».

Senza fare spoiler, nel film la protagonista e i suoi nuovi amici si ritrovano a fare i conti con una missione da compiere, qualche delinquente, diversi piccoli e grandi reati. L’incontro con il crimine, per Muccino è stato a lungo rimandato: «Da tempo volevo raccontare questa linea di confine. Quando vidi American Beauty stavo scrivendo L’ultimo bacio e ho sempre avuto il desiderio di metterci un morto… Quella voglia di scavalcare il muro l’ho sempre avuta. Da un punto di vista filmico è interessante perché sfondi barriere linguistiche ancora più potenti». Un rischio? «Dopo 12 film e una serie, avevo voglia di cambiare, di osare e di avere paura. Ho sempre scelto film pericolosi, che mi mettessero paura di sbagliare. Ogni volta che ho fatto un film safe, il risultato è stato meno buono». Quando parla di pericolo, Muccino pensa proprio al set: «Questo film aveva tutti gli ingredienti perché fosse un disastro, avevo paura che ci scappasse davvero il morto. Quando abbiamo girato di notte con la macchina a tutta velocità nelle stradine di Palermo, è stato davvero pericoloso: è stato un film girato col brivido addosso, l’adrenalina non la simula, la vive».

Si apre dunque un nuovo capitolo, il Muccino del thriller? «Non ho cambiato rotta, sono sempre io, anche nell’Ultimo bacio c’era un po’ di thriller. Volevo scavalcare quel muro e vedere cosa c’è di là: mi sono trovato a mio agio e ora ho già pronto un altro film di questo genere».

Ci sono i ragazzi ma il regista rifugge con forza dall’etichetta di «film generazionale»: «Per carità! Non c’entra niente con i giovani di oggi, si raccontano dinamiche universali che non hanno età». Si tratta perlopiù di un sottile confine etico: «È la natura umana, quella linea invisibile tra giusto e sbagliato, tra bene e male, che è molto facile attraversare. Trovarsi dall’altra parte è molto più naturale di quanto pensiamo. Perché Male è insito nella nostra natura, se non altro per motivi di sopravvivenza e autodifesa». Però c’è il libero arbitrio e le scelte che ognuno di noi compie: «Anche scelte irrilevanti ci portano in una direzione. È come lo scambio di binari: il treno neanche se ne accorge, ma ti porterà in una direzione drasticamente diversa. Le scelte però non sono tutte consapevoli, il nostro subconscio ne controlla l’80 per cento. Non abbiamo un vero controllo. La formazione che abbiamo avuto, i traumi subìti anche prima della nascita… tutto ci condiziona».

.Fino alla fine è anche il primo film di Muccino incentrato su una donna: «Le donne sono più interessanti, pochi film le raccontano bene, non ci sono tanti film in cui sono protagoniste. Era anche un modo di conoscermi meglio e conoscere meglio questa creatura complicata e così borderline, mi ha avvicinato allo sguardo femminile, che è molto attraente. Perché è una creatura molto misteriosa agli occhi di un uomo. Avere avuto una figlia mi ha spalancato lo sguardo su questo tipo di percezione».

Nelle sale dal 31 ottobre, il film vanta già un piccolo record: è stato girato sia in inglese sia in italiano. «Non è mai stato fatto nella storia», racconta Muccino. «Ogni take di ogni scena lo giravamo prima in italiano e poi in inglese: ci sono due versioni praticamente identiche del film, una clonazione. L’ho fatto perché volevo evitare l’appiattimento del doppiaggio».


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