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Francesco Pazienza: il potere, i segreti e la fine di un uomo in bilico tra lusso e ombre

Dopo il carcere, era andato a vivere in una piccola dependance della villa di famiglia a Sarzana e chi lo andava a trovare veniva ricevuto dalla sua amata cagnetta Evita e non portava più i segni della sua vecchia vita. Perché era stato un uomo davvero potente Francesco Pazienza, il faccendiere, agente dei servizi, depistatore, scomparso due giorni fa all’età di settantanove anni, dopo un breve ricovero.

Pazienza è stato un uomo inebriato dal potere nel quale si era tuffato con la leggerezza del viveur: si era messo nelle mani di Giuseppe Santovito, costruendo un super vertice del servizio segreto, in nome del quale sono state fatte, ed egli ha fatto, cose sporchissime: dai depistaggi delle inchieste per la strage di Bologna al putrido affaire Cirillo (la trattativa Stato-Camorra-BR per la liberazione dell’assessore campano della Dc). Quando il piduista Santovito è caduto in disgrazia credo che Pazienza sperasse nei favori di un altro potente che però di lui poco importava, Umberto Federico D’Amato, vantandosi di avergli fatto avere, lui Pazienza ad un re come D’Amato, una collaborazione con il Sismi e una casa a Parigi in rue Saint-Honoré del valore di un milione di dollari: il faccendiere lo racconta nel suo libro come se si trattasse di storie glamour.

Ho sempre pensato che il sistema piduista avesse pensato a lui come sostituto dell’incolto e rozzo Licio Gelli ma che l’operazione non funzionò perché lui finì nell’inchiesta per i depistaggi di Bologna e perché Gelli riuscì a mantenere il timone: una volta glielo dissi ed ebbe uno sbotto d’ira incontenibile. In altre occasioni cercai lo scontro provocandolo sui suoi punti deboli ma si era fatto una solida corazza, non cedeva mai, non ha mai voluto raccontare davvero nulla, se non attraverso storie affascinanti di viaggi e lussi, incontri e affari: ma se volevi sapere quale sistema di potere lo incaricò di affondare la seconda presidenza Carter, non una piccola operazione in un luogo di provincia (lui ebbe un ruolo cruciale tramite Micael Ledeen inventando il dossier Billy Gate, Billy era il fratello del presidente) prendeva a snocciolare un milioni di particolari, lungo un rivolo infinito di storielle e pettegolezzi anche interessanti dai quali usciva cambiando discorso.

Si sentiva l’unico a non aver fregato Roberto Calvi, forse in questo aveva ragione, ma alla fine a far cadere il Banco ambrosiano erano stati tanti pescicani. Rifiutava anche di spiegare il sistema di potere democristiano che aveva conosciuto bene, essendo stato lui braccio destro di Flaminio Piccoli, uno dei più importanti capi Dc degli anni 80: poteva intrattenersi ore su Piccoli senza dirti un bel niente. Negli ultimi anni era stato coinvolto nelle inchieste di Reggio Calabria sugli affari dei fratelli Pizza, appunti molto legati a Piccoli: gli inquirenti lo mandarono a chiamare perché nel corso di una perquisizione nella sede del Sismi era stato trovato un appunto del servizio dove un importante agente del servizio scriveva che Pazienza si era incontrato in Libano con Pino Pizza: quindi, agenti del servizio pedinavano Pazienza in giro per il mondo.

Poi venne trovata anche la foto di un giornale che lo ritrae a New York mentre prende parte al funerale del capo della mafia americana Tommasino Gambino, detto Tommy, insieme a Massimo Pizza: ed anche lì stordì di parole gli agenti che lo interrogavano ma si fece sfuggire che il latitante Amedeo Matacena non sarebbe stato estradato dagli Emirati perché l’ex sottosegretario alla Giustizia Nico D’Ascola stava facendo di tutto per impedire l’accordo di estradizione: querelato per diffamazione da D’Ascola vinse il primo grado con sua grande soddisfazione.

Ma non spiegò perché fosse in contatto con Stefania Franchini, avvocata di grandissimo potere negli Emirati, né perché andò in Calabria insieme a Pizza ad incontrare la famiglia ‘ndranghetista degli Araniti che voleva dare vita ad una super segreta loggia massonica: però si divertiva a spiegarti nei dettagli che i suoi ospiti erano così potenti da riuscire a far ritardare di due ore la partenza dell’aereo di linea, perché l’incontro si era allungato tra chiacchiere e dessert.

Quando era al servizio il suo nome in codice era Pacifico, credo per l’antico amore che aveva avuto per l’Oceano perché, dopo la laurea andò a Marsiglia, alla Cocean, la società di lavori sottomarini associata al gruppo del celeberrimo oceanografo Jacques-Yves Cousteau. Da lì nacque la sua carriera di faccendiere che ha giocato con il potere in modo spericolato, tra i lussi e la galera, finendo i suoi giorni da disperato padrone della cagnetta Evita, sapendo bene, anche se non lo voleva dire, che era stato al servizio di un potere sporco che alla fine aveva fottuto anche lui.

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