Francesca Morvillo, una delle prime magistrate in Italia: storia della donna che morì a Capaci con il marito Giovanni Falcone
Francesca Morvillo, non solo «la moglie di Giovanni Falcone». Ma una magistrata a rischio, una volontaria impegnata nel sociale, una donna forte e determinata a sfidare anche le convenzioni e i divieti di un’epoca vicinissima, gli anni ’60, ma in cui le donne in Italia ancora non potevano neanche accedere ai concorsi pubblici per diventare giudici. È il ritratto che emerge da Il mio silenzio è una stella uscito per Einaudi, in cui la giornalista e scrittrice Sabrina Pisu la racconta come esempio di quella «determinazione silenziosa» che l’ha portata a vivere «la passione per la magistratura con lucidità e preparazione ma anche con un impegno silenzioso e totale che non ha mai cercato nessun tipo di clamore mediatico».
Dalla copertina il sorriso di Francesca Morvillo, accanto ma non dietro quello altrettanto felice di Giovanni Falcone ucciso assieme a lei dalla mafia il 23 maggio 1992, accompagna la lettura di questo libro in cui la scrittrice ha voluto raccogliere, in due anni di ricerche, documenti d’archivio e testimonianze di amici, parenti e colleghe di una donna che tutti in Italia hanno per anni continuato a considerate esclusivamente la moglie di Giovanni Falcone, negandole una personalità autonoma e la professionalità di magistrata modello nella lotta alla mafia. La strage di Capaci, sempre sullo sfondo, è il terminus post quem dal quale in Italia nessuno è più riuscito a sottrarsi, quando si parla di lotta all’eversione mafiosa in Sicilia. A pochi giorni dalla terza edizione del Festival Internazionale dell’Antimafia, dal 23 al 24 maggio 2025 al Palazzo del Cinema Anteo di Milano, che quest’anno è dedicato proprio alla magistrata uccisa nella strage, Sabrina ci racconta Il mio silenzio è una stella e la sua Francesca Morvillo.
Come è nata l’idea di un libro dedicato a questa donna schiva e obiettivamente lontana dai riflettori?
«L’idea è nata frequentando il carcere Malaspina a Palermo per un laboratorio di scrittura a cui avrei dovuto partecipare assieme a Letizia Battaglia (la Pisu è stata anche coautrice, assieme alla stessa Battaglia, della biografia della celebre fotografa Mi prendo il mondo ovunque sia). È stato lì che mi sono accorta che la sua presenza era molto viva: sia il centro di prima accoglienza che la ludoteca, infatti, erano intitolati a lei. Sono partita da lì e ho condiviso con Einaudi l’idea di scrivere un libro che l’editore ha considerato “un racconto necessario”».
Nel libro sono citati documenti, fonti e tante persone che avevano conosciuto e collaborato con la Morvillo. Quanto è durata la ricerca?
«Un paio d’anni. Io non abito a Palermo (Sabrina Pisu vive e lavora a Ginevra, in Svizzera, collaborando con diverse testate, tra cui RSI-Radiotelevisione svizzera di lingua italiana ndr) e dovevo organizzarmi per le ricerche negli archivi, per esempio in quello della Corte d’appello di Palermo, dove la Morvillo aveva esercitato in qualità di giudice a latere nel primo processo di mafia a carico di un politico, Vito Ciancimino. Fu l’occasione in cui le venne offerta la scorta che lei però rifiutò. Il libro si basa tutto su fonti dirette, la maggior parte inedite, a partire dal fratello Alfredo, anche lui magistrato del pool antimafia».
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Raccogliendo documenti, scoprì particolari di cui non aveva idea?
«Quando ho cominciato a fare le ricerche ho avuto la conferma che su di lei non c’era nulla. Perché lei, un po’ per carattere un po’ per convinzione, non aveva mai rilasciato interviste, dichiarazioni, commenti. Non c’era nulla su di lei né trovai nulla scritto da lei. La sua riservatezza, e anche quella della sua famiglia, inizialmente sono state motivo di preoccupazione. Temevo quasi di entrare in un territorio che era stato preservato alla narrazione. Poi ho recuperato un fascicolo al Consiglio superiore della magistratura e ho cominciato a chiamare gli istituti dove aveva studiato, dove aveva fatto la volontaria, colleghi e colleghe magistrati per sentire i loro racconti».
Aveva fatto anche la volontaria?
«Sì. Scoprii che aveva fatto la maestra volontaria in una scuola della Ziza (noto quartiere popolare palermitano) dove aiutava i figli dei detenuti a fare i compiti. La scuola non sapeva della sua storia e dopo averla contattata abbiamo fatto una ricerca e abbiamo trovato negli archivi attestati che certificavano la sua presenza come maestra volontaria. A fine maggio di quest’anno la preside ha deciso di dedicare una parte di questo istituto a Francesca Morvillo e finalmente un pezzo della sua storia verrà alla luce».
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