Ford taglia in Europa, via 4 mila lavoratori nei prossimi tre anni
ROMA – In Germania, in Italia, nel Regno Unito. La crisi dell’industria auto, rimasta a corto di clienti a metà del guado verso l’elettrico, presenta un conto sempre più salato all’Europa. Alla lunga lista di case che ridimensionano i propri piani, e la propria forza lavoro, ieri si è aggiunta Ford. Proprio per il mancato decollo delle vetture con la spina la casa americana taglierà 4 mila posti di lavoro nel Vecchio Continente entro i prossimi tre anni, per lo più negli stabilimenti inglesi e tedeschi. «In Europa manca un’agenda chiara per far avanzare la mobilità elettrica», ha lamentato il capo delle finanze, John Lawler, chiedendo incentivi all’acquisto e più flessibilità negli obiettivi di riduzione della CO2.
Stellantis, cassa integrazione a Termoli
La tempesta colpisce tutti i grandi Paesi industriali europei, Italia compresa. Ieri Stellantis ha comunicato la richiesta di cassa integrazione dal 16 al 22 dicembre per i lavoratori dello stabilimento di Termoli. Alla vigilia della pausa natalizia si fermeranno le linee che producono i motori – a combustione – Gse e V6, allineandosi alle temporanee sospensioni degli impianti di Pomigliano e Cassino. Ed è in questo clima che i sindacati di settore, Fim, Fiom e Uilm, hanno scritto alla presidente del Consiglio Meloni, chiedendo che convochi il tavolo di settore, lamentando lo stallo del confronto al ministero delle Imprese guidato da Adolfo Urso e minacciando, in attesa di risposte, di presentarsi non invitati sotto Palazzo Chigi.
Rivedere i target europei
Il governo, che con la legge di Bilancio si appresta a tagliare in modo radicale il fondo per il supporto al settore, proverà a giocare sul tavolo europeo la carta della revisione dei target di decarbonizzazione. «Il problema sono l’Europa e la sue folli regole», ha detto Urso, che la prossima settimana presenterà al Consiglio competitività un documento redatto insieme alla Cechia che propone di preservare lo stop ai motori endotermici nel 2035 – non negoziabile per molti Paesi -, modificando però la traiettoria per arrivarci. Dal prossimo anno scatta un primo vincolo di decarbonizzazione della flotta, che secondo Urso starebbe spingendo le case a tagliare anche la produzione di auto “tradizionali” per non incorrere in sanzioni miliardarie.
Volkswagen, i lavoratori pronti a tagliarsi lo stipendio
L’impressione è che fin qui la portata e gli effetti sociali di questa crisi non siano ancora emersi pienamente. In Germania, cuore dell’automotive europeo, le difficoltà più simboliche sono di Volkswagen, il più grande produttore del Continente, che nelle scorse settimane – per la prima volta in 87 anni – ha ipotizzato la chiusura di tre stabilimenti: c’è troppa capacità produttiva rispetto alle esigenze del mercato. Ieri il sindacato interno e quello nazionale dei metalmeccanici IG Metall hanno presentato all’azienda un contropiano di tagli da 1,5 miliardi di euro, mettendo sul piatto anche la disponibilità a rinunciare ai bonus in busta paga pur di evitare la chiusura degli impianti, ma minacciando anche battaglia “storica” nel caso la società andasse avanti. Oggi ci sarà un’altra tornata di negoziati: la disponibilità ad accettare sacrifici è benvenuta, ha detto un dirigente in un messaggio interno ai dipendenti, ma lo spegnimento delle fabbriche non può essere ancora escluso.
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