Flora Hibberd – Swirl :: Le Recensioni di OndaRock
Inghilterra, Francia e America: sono questi i tre punti nodali di un album maturo e convincente che consolida un immaginario artistico al femminile, ormai svincolato dal ruolo subalterno e dal cliché solitary/melanconic folk post-mitchelliano (cliché che in parte aleggiava nel mini-album d’esordio “Hold”).
“Swirl” è il primo album rivelazione del giovane 2025, e Flora Hibberd è un’autrice dal tocco personale e sorprendente, un’artista capace nell’arco di undici brani, per poco più di 40 minuti, di esplorare art-pop, folk, country, elettronica e blues, con una versatilità vocale che apre le porte a interessanti evoluzioni stilistiche.
Con un solido quartetto al seguito – Pat Keen, Ben Lester, J T Bates e il fedele collaboratore Victor Claass – Flora Hibberd mette a frutto l’esperienza della band (i quattro musicisti vantano collaborazioni con Sufjan Stevens, The Tallest Man On Earth, Bon Iver e Taylor Swift), con un set di canzoni che ricalcano con intelligenza l’estroversa e stravagante bellezza di Aldous Harding (“Code”), o che dialogano con l’art-pop post-new wave (“Auto-Icon”) e infine profanano iconiche figure country con bizzarrie pop-psych-folk e tanto di organo vintage al seguito (“Jesse”).
Quando l’atmosfera sembra volgere verso un più tipico country-folk, le coordinate sono ricche di imprevisti: la pedal steel che regge le fila di “Remote Becoming Holy” deve infatti fare i conti con malevolenze noir e algidi tempi ritmici jazz, mentre in “Still No Closer” un flebile esotismo non riesce a mascherare del tutto una contagiosa malinconia. Anche la più classica ballad folk-blues “Every Incident Has Left Its Mark” offre continui cambi di registro melodico e ritmico, che ne modificano la struttura fino a un caotico finale hard-rock, vibrazioni che marcano con ancor più grezza energia lo schiaffo post-punk di “Lucky You”.
La deliziosa fragilità di “Canopy”, la raffinatezza della toccante “Baby”, l’oscuro minimalismo tribale dell’enigmatica “Fern”, sottolineano una versatilità della scrittura che regala a “Swirl” una duttilità stilistica che potrebbe incuriosire anche i non fan delle voci femminili, mentre l’ipnotico finale a base di fingerpicking, incursioni elettroniche d’antan e ritmi brushwork della suadente e ingannevole “Ticket” conquista un posto nella lista delle canzoni da non dimenticare di questo anno ancora giovane e imprevedibile.
24/01/2025