Flavio Briatore: «La paghetta a mio figlio Falco? 500 euro al mese. L’Italia non mi ha mai aiutato»
Di quando era bambino ricorda il paese piccolissimo e la tanta neve, ma anche i genitori maestri con il padre che all’ultimo anno delle elementari lo bocciò. «Credo che lo abbia fatto per dare il buon esempio. Facevo parte del gruppo dei discoli: arrivavamo tardi in classe, giocavamo quando non dovevamo, urlavamo, non ci presentavamo al catechismo. Cose così». Sembrano da libro Cuore gli inizi di Flavio Briatore raccontati in una intervista al Corriere della Sera. Sono anni che preferisce non ricordare, di latte e castagne la mattina per non sentire i morsi della fame. I minestroni sono rimasti il suo cibo del ricordo.
Le polemiche per i prezzi di Crazy Pizza sono per lui pubblicità positiva e fra le imitazioni preferisce Crozza a Panariello. «Perché è più recente. Con i social è facile far girare una cosa, ma se gira vuol dire che al pubblico piace, quindi va bene». «Io sono un muro di gomma, penso sempre che chi mi critica è più sfigato di me. I soldi ti danno una grande libertà, non tutti l’hanno. L’Italia? Siamo un Paese meraviglioso con grande potenziale, ma senza una politica all’altezza».
Il lavoro del manager
A 8 anni raccoglieva scommesse sul Giro d’Italia. «Facevo un po’ il bookmaker. C’era un tale che andava a vedere alcune tappe. Da lì, mi chiamava nel bar del paese, perché nessuno aveva il telefono in casa, e mi avvisava sui distacchi. Con quelle dritte tornavo a scuola per far scommettere i miei compagni». Per il resto della vita ha scommesso in un modo diverso, prendendo decisioni da manager. «Gli errori sono una costante: se fai, sbagli. Il segreto è correggere subito il tiro, quando te ne accorgi, senza insistere per orgoglio».
Montecarlo
Vive a Montecarlo da quasi 15 anni. «Per 15 ho vissuto stabilmente a New York, lavorando per Benetton, poi quando è iniziata la mia avventura in Formula 1 mi sono trasferito in Inghilterra e sono rimasto lì per altri 20. In Italia non ho un conto corrente dagli anni 80. Tra i motivi per cui ho scelto Montecarlo c’è anche quello fiscale. Ma non vivo qui per non pagare le tasse, io qui ho creato business e per creare business scegli i Paesi che ti danno maggior protezione fiscale. Infatti siamo a Dubai, a Riad, in Spagna. E abbiamo investito anche in Italia. Mi sembra però la stessa storia di Sinner: anziché gioire di questo incredibile tennista italiano, c’è chi parla solo della sua residenza, dove peraltro vive davvero e si allena».
I soldi delle tasse sue e di Sinner potrebbero aiutare il welfare. «L’Italia non mi ha mai aiutato, veda il caso di Force Blue (l’imbarcazione venduta all’asta ndr), e non si merita che ci viva. Siamo un Paese di Gattopardi: vogliamo che cambi tutto perché rimanga tutto uguale». Quando si è ammalato si è curato in Italia. «Perché abbiamo i medici più bravi del mondo. E comunque ho pagato tutto». La guida? Solo in Kenya.
Il Billionaire
«In Sardegna, il Billionaire ha dato lavoro a tante persone, è diventato un marchio conosciuto in tutto il mondo che ha creato un indotto positivo: per la Sardegna era come il Vaticano per Roma, non potevi non andarci». «Ho venduto i muri e non il marchio, che resta mio e continua a esserci a Sankt Moritz e a Dubai. In generale, però, penso che il mio grande amore per la Sardegna non sia stato corrisposto. Colpa dei radical chic e dei politici, perché con i sardi ho sempre avuto ottimi rapporti. Durante l’alluvione del 2004 avevo messo a disposizione degli sfollati il Billionaire Village. E avevo fatto arrivare il pecorino dei pastori in rivolta da Eataly e sulle navi da crociera. Il problema sono quelli che vogliono che la Sardegna rimanga così com’è: possibile che ci siano pochissimi collegamenti con la penisola? È più facile andare a Dubai che a Olbia».
I piloti
«Il più grande pilota di sempre? Non lo so, perché abbiamo avuto Schumacher, Senna, Alonso… Adesso il numero 1 è sicuramente Max Verstappen». Chi vorrebbe nell’Alpine? «Due Verstappen, perché ho due auto». È mai andato a trovare Michael Schumacher? «No. Se chiudo gli occhi lo rivedo sorridente dopo una vittoria, e preferisco ricordarlo così piuttosto che disteso su un letto. Con Corinna però ci sentiamo spesso». Il ricordo più bello è il primo mondiale con Schumacher nel 1994. «Avevamo la Federazione contro. Ferrari e McLaren non erano contente di farsi battere da un ragazzino di 19 anni e da un team la cui proprietà faceva t-shirt, per non parlare di me, un capellone abbronzato e con i capelli lunghi che non era ingegnere. Non ero nemmeno un appassionato, avevo visto il primo GP in Australia quando mi ci aveva portato Benetton».
Elisabetta Gregoraci e le altre
Elisabetta Gregoraci ha raccontato che quando lei dormiva le prendeva il dito per sbloccare il cellulare e controllarlo. «Ma quando io dormo possono pure operarmi a cuore aperto e non sento niente! Lei è la madre di Falco, la cosa più importante che ho. Siamo stati bravi a mettere lui al primo posto, quando ci siamo lasciati: non saremo più una coppia, ma non smetteremo di essere i suoi genitori e di esserci l’uno per l’altra».
L’amore più grande della sua vita? «Sicuramente Elisabetta Gregoraci. Ma ho avuto altre relazioni importanti. Una con Heidi Klum, dalla quale ho avuto una figlia, Leni, che vedo spesso: lei e Falco si vogliono bene. Con Naomi Campbell una relazione molto chiacchierata. Ci vogliamo bene e siamo sempre in contatto». «Con Nina Stevens avremmo dovuto capire che non eravamo fatti l’uno per l’altra. Con Mercy Schlobohm fu un gioco, non credo che quel matrimonio alle Isole Vergini sia mai stato registrato».
Luciano Benetton
La persona a cui è più grato è Luciano Benetton. «Lo considero un po’ la mia famiglia. Senza di lui non dico che sarei rimasto nel paesello, ma di sicuro avrei fatto altro. Devo dire grazie anche a Stefano Domenicali, che mi ha permesso di ritornare in Formula 1: è un manager straordinario che sento tutti i giorni, da lui ho sempre da imparare e spero di restituire qualcosa anche io». Con Daniela Santanchè avete litigato? «Litigare è una parola grossa, diciamo che non ho più il rapporto di 10 anni fa».
Falco e la paghetta
«Mio figlio sicuramente non potrà mai avere la mia fame. Ora sta facendo la Boarding School in Svizzera: questo lo renderà più preparato di me ad affrontare il futuro. È molto difficile non viziarlo. L’importante è che a scuola vada bene. Parla 4 lingue, lo tengo al corrente di quello che succede nelle mie aziende, e a lui piace molto. La Formula 1 no. A lui piace quello che è collegato al Food and Beverage. In uno qualunque dei nostri ristoranti conosce il nome di tutti i ragazzi. Anche in Kenya è così».
«Gli auguro di avere la salute e di essere felice. Come imprenditore gli auguro di creare tanti posti di lavoro, perché il vero fallimento è dover licenziare. Ma se si rendesse conto di non volere troppa pressione addosso e di desiderare una vita normale, vorrei solo che trovasse il modo di essere felice. Non è obbligato a fare quello che faccio io. La paghetta? Mi sembra 500 euro al mese».
Il tempo e la vecchiaia
«Credo che faccia paura a tutti. Vorrei esserci il più a lungo possibile per fare ancora da scuola guida a Falco. Il dramma del tempo che passa è che noi non ce ne accorgiamo, ma ce ne rendiamo conto quando vediamo gli altri, che non invecchiano bene. Non ho fatto il lifting, magari lo farò tra un paio d’anni. Ma non mi vergogno di dire che dieci anni fa ho fatto un intervento per eliminare il doppio mento».
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