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FKA twigs – EUSEXUA Afterglow: Il risveglio dopo l’euforia :: Le Recensioni di OndaRock

Cosa avviene dopo che hai agguantato l’estasi suprema? Cosa, dopo che hai coniato un neologismo capace di esprimere un sentimento finora privo di descrizioni? Quello che si verifica puntualmente dopo un simile rapimento: piano piano l’euforia si spegne, i sensi tornano a essere vigili, il fuoco interiore si dissipa nella realtà circostante. Annunciato lo scorso agosto e giunto assieme a una bizzarra riedizione del suo terzo album, “EUSEXUA Afterglow” è la naturale prosecuzione concettuale del disco fratello, un progetto scritto e composto da FKA twigs con insolita rapidità, che raccoglie e sintetizza la discesa dai paradisi dell’esaltazione, “il vetro rotto, il caos nella perfezione”, per impiegare i termini che la stessa musicista ha utilizzato. Lo fa trasformando il pinnacolo dell’esperienza umana nel suo negativo di ombra e cristallo, dove la materia elettronica ragiona per estremi timbrici e ritmici, circoscrivendo un mood tanto annebbiato quanto profondamente corporeo. Perché le esigenze del corpo presentano presto il conto.

In questo after sospeso da terra esce vincitrice la Twigs produttrice: ancor più che negli omaggi praghesi del predecessore, il nuovo progetto presenta una Barnett a suo agio con le più diverse sfaccettature di un sound composito, che non ha paura di muoversi a suo piacimento tra la vecchia Uk-garage, l’Idm più cerebrale, rispolveri r&b e pure lontane tentazioni bristoliane. Un meccanismo articolato, per un ritorno alla realtà che si immagina spontaneo, affamato; lo dice chiaramente “Wild And Alone”, in compagnia di una PinkPantheress più sottile del solito, a ribellarsi con forza verso una tendenza all’isolamento e all’autodistruzione, sopra un tappeto che diffrange spunti trance in mille diramazioni bass.
“Hard” si spinge ancora oltre, diventa monito e implorazione, un guanto lanciato a un ipotetico amante che è pura seduzione funk, tessuta con trame narcotiche e attitudine urbana. Se “Love Crimes” introduce all’ascolto con un assalto technoide, adatto a trasformare la tensione in azione, “Sushi” si prende la fetta più larga della torta, proponendosi come una sorta di erede spirituale di “Glass & Patron” (menzionata di sfuggita nella seconda metà del brano), ballroom del futuro introdotta da un cavernoso meccanismo dance, tanto divertito quanto inesorabile.

Se il suono risulta variegato e accattivante, non lo stesso si può dire della scrittura: spesso claudicante, talvolta impalpabile (il trip-hop annebbiato di “Cheap Hotel”, tutto loop e vocine a chipmunk, è l’esempio principe), la penna di Barnett fatica a portare a casa il risultato, costretta com’è in minutaggi privi di respiro (la rabbia di “Predictable Girl” non assesta i pugni sperati) o a perdersi dietro a stanche modulazioni metropolitane (lo spento ritorno alle atmosfere di “LP1” di “Piece Of Mine”). Una tendenza che si riflette lungo tutto l’arco della seconda metà, laddove la fase calante si fa più acuta, trascinando con sé sensazioni di abbandono e sconforto.
C’è ancora troppa nebbia, troppa confusione perché la perdita degli amici, l’indifferenza circostante penetri nelle maglie della percezione, aguzzando sensi ancora obnubilati. Lungi da noi voler chiedere la stessa sofferenza sottesa a un “MAGDALENE”, da questo after-party ci si aspettava però qualche scossone ben piazzato. È faticoso scendere dai picchi dell’euforia: una volta fatto, si rischia di rimanere faccia a terra, su qualche marciapiede.

03/12/2025




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