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Fisco e pensioni, la doppia rivoluzione del governo Meloni: pace fiscale selettiva e taglio tasse al ceto medio. Ecco quanto costa

L’esecutivo si prepara a presentare entro metà ottobre la Legge di Bilancio 2025, concentrando l’attenzione su due dossier strategici: il riordino fiscale e la riforma previdenziale. Sul fronte delle imposte, il governo punta a realizzare una doppia operazione: l’introduzione della “rottamazione quinques” e la riduzione dell’aliquota Irpef intermedia per il ceto medio.

La pace fiscale assume contorni più definiti con uno schema selettivo che prevede 120 rate dilazionate su dieci anni, escludendo però i contribuenti recidivi e limitando l’accesso ai redditi fino a 70mila euro. L’operazione comporterebbe un costo stimato tra 3 e 4 miliardi di euro, ma rappresenterebbe un significativo passo verso la risoluzione dei contenziosi pendenti tra cittadini e Agenzia delle Entrate.

Parallelamente, l’obiettivo di abbassare l’aliquota intermedia Irpef dal 35% al 33% mantiene la sua centralità nella strategia fiscale governativa. Se applicato ai redditi fino a 60mila euro, l’intervento costerebbe circa 4 miliardi, cifra che scenderebbe a 2,5 miliardi limitando la soglia a 50mila euro. Le risorse necessarie potrebbero arrivare dal concordato preventivo biennale, che ha già generato 1,6 miliardi di euro e potrebbe raddoppiare con l’estensione del termine di adesione al 30 settembre.

Il rebus previdenziale: tra anticipi e adeguamento demografico

Il capitolo pensionistico presenta complessità multiple, con il governo chiamato a decidere il futuro di Quota 103 e Opzione donna, meccanismi che consentono l’uscita anticipata dal lavoro. Quota 103 richiede almeno 41 anni di contributi e 62 anni di età, mentre si profila all’orizzonte la questione dell’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita.

L’esecutivo intende sterilizzare per un biennio l’aumento automatico di tre mesi dell’età pensionabile previsto dal 2027, ma tale intervento necessita di coperture finanziarie adeguate o compensazioni alternative. Una strategia che riflette la volontà di bilanciare sostenibilità del sistema previdenziale e esigenze sociali dei lavoratori prossimi al pensionamento.

Il Bonus Giorgetti, incentivo per rimanere al lavoro nonostante il raggiungimento dei requisiti pensionistici, rappresenta un’altra incognita. L’iniziativa, attiva dal primo settembre per i dipendenti privati, ha registrato finora poco più di 7mila domande secondo fonti Inps, alimentando dubbi sulla sua efficacia e sulla possibile proroga per il 2026. Contestualmente, il rafforzamento della previdenza complementare rimane tra gli obiettivi strategici dell’esecutivo.

Vincoli europei e strategie di consolidamento fiscale

Le misure programmate devono confrontarsi con le nuove regole europee che limitano l’incremento della spesa netta all’1,5% annuo. Nonostante eventuali miglioramenti del gettito fiscale e riduzioni dello spread, questi elementi non impattano sull’indicatore europeo, rendendo più complesso il contenimento della spesa pubblica.

La strategia governativa punta a consolidare l’impegno sul deficit per uscire dalla procedura d’infrazione europea con un anno di anticipo, rientrando tra i paesi “virtuosi” che possono attivare la clausola di salvaguardia per le spese di sicurezza e difesa. Obiettivo ambizioso che richiederebbe il mantenimento del deficit sotto il 3% del PIL entro fine anno.

Il vicepremier Matteo Salvini, a margine di un evento pubblico in Trentino, ha delineato ulteriori priorità, sottolineando la necessità di supportare la grande pancia degli italiani – il ceto medio escluso dai bonus per reddito troppo alto ma non sufficientemente agiato. Tra le proposte: l’esclusione della prima casa dal calcolo Isee, l’aumento del tetto della flat tax e l’indicizzazione delle pensioni minime. Interventi che riflettono l’impegno a sostenere i redditi intermedi, storicamente penalizzati dalle soglie di accesso alle agevolazioni fiscali e contributive.


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