“Finanziamenti alle moschee ora serve una legge. Ed ecco come controlliamo l’estremismo islamico” – Il Tempo
«Il fondamentalismo islamico c’è anche nelle carceri: abbiamo attenzionato circa 200 persone, tra cui terroristi internazionali di matrice jihadista, soggetti carismatici che si pongono come leader o predicatori e tentano di promuovere attività di proselitismo». Sono queste le parole del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, che analizza il fenomeno del radicalismo islamico in forte espansione.
Sottosegretario, il rischio del fondamentalismo islamico è presente anche nelle carceri?
«Sì, è un rischio reale che stiamo monitorando attentamente. Gli istituti penitenziari sono da sempre un punto nevralgico della sicurezza nazionale, oggi abbiamo il circuito di Alta Sicurezza 2, riservato ai terroristi internazionali di matrice jihadista e sono circa 200 le persone che stiamo monitorando, anche a prescindere dal circuito as2».
La guerra tra Israele e Palestina ha favorito l’aumento del fondamentalismo islamico?
«Certo, e il coinvolgimento diretto degli Usa ha contribuito ad alimentare un rigurgito di fondamentalismo anche in Occidente, cosa che ha innalzato ulteriormente il livello di allerta».
E gli strumenti per affrontare questa minaccia?
«Abbiamo programmi specifici per individuare indizi sintomatici di radicalizzazione. Paradossalmente, ci preoccupano meno gli individui già inseriti nel circuito AS2, che sono già sotto stretto controllo, e molto di più quelli in media sicurezza, perché lì possono emergere nuovi predicatori del fondamentalismo. Dal 2024, grazie a un’intuizione di questo Governo, la Polizia Penitenziaria è entrata stabilmente nel Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo (CASA), con il Nucleo Investigativo Centrale. Questo è fondamentale perché ciò che accade in carcere ha spesso ricadute sull’esterno. Infatti, il 30% delle espulsioni per motivi di ordine e sicurezza pubblica al termine della detenzione nasce da osservazioni condotte all’interno del carcere. Abbiamo garantito sicurezza anche all’esterno e per la nazione intera».
Quanto incide il sovraffollamento carcerario sul rischio di proselitismo?
«Il sovraffollamento incide poco sugli AS2, che sono gestiti con circuiti separati. Incide di più nella media sicurezza. Tuttavia, il proselitismo jihadista nasce da motivazioni molto profonde, che prescindono dalle condizioni materiali: è alimentato da un odio radicale verso l’Occidente, spesso aggravato dai contesti geopolitici».
Ci sono programmi di formazione per contrastare il fenomeno?
«Sì. Nel 2024 abbiamo ottenuto un finanziamento europeo per rafforzare le competenze degli operatori penitenziari nella prevenzione della radicalizzazione violenta. Abbiamo formato 380 agenti di Polizia Penitenziaria negli istituti, 60 funzionari giuridico-pedagogici, 40 unità del Nucleo Investigativo Centrale. Operatori addestrati a individuare indizi di radicalizzazione, i soggetti vulnerabili e, se necessario, ad avviare le procedure per l’espulsione a fine pena».
Ma perché non si possono rimpatriare subito?
«Il rimpatrio immediato è complicato da vincoli normativi. Serve il consenso del detenuto per trasferirlo nel suo Paese d’origine e la normativa europea vieta l’esecuzione della pena in Paesi che non rispettano standard qualitativi paragonabili ai nostri. Ma nel piano Mattei stiamo lavorando per stipulare accordi bilaterali che non richiedano il consenso del detenuto».
E al di fuori del carcere? Cosa avete intenzione di fare per arginare il fondamentalismo islamico?
«In Francia esiste una legge che prevede il controllo dei finanziamenti alle moschee. Se il finanziamento proviene da entità presenti in una blacklist (Stati o organizzazioni sospette), viene immediatamente confiscato. Controllare questi finanziamenti è essenziale, perché potrebbero alimentare il jihadismo attraverso un “soft power” occulto. Inoltre, ci sono pratiche che non possiamo accettare: l’imposizione del burqa, la segregazione delle donne negli spazi pubblici, tutte cose che sono in netto contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento. Serve un testo unico che consenta di intervenire penalmente contro queste pratiche, perché rappresentano l’espressione di un Islam che non è solo fede, ma spesso anche un sistema radicalmente incompatibile con la nostra civiltà».
di Giulia Sorrentino
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