Umbria

Festival di Spoleto, “Flux” è un viaggio tra i due mondi del reale e virtuale


di Arianna De Angelis Marocco

Per questa 68esima edizione del Festival dei Due Mondi di Spoleto, dove la performance immersiva è stata già protagonista in passato con titoli come “Le Bal de Paris” di Blanca Li, “Flux, full experience” si inserisce come un’esplorazione più intima e sottile del rapporto tra virtuale e reale. Con la direzione creativa di Maura Di Vietri e Ivan Taverniti per Fattoria Vittadini, l’opera si svolge nel complesso monumentale di San Nicolò e registra il tutto esaurito per tutte le repliche.

Trenta minuti più qualche momento iniziale di confronto con la regista e coreografa Di Vietri che, incinta di pochi mesi, si fa sostituire in scena da Anastasia De Lucia e viene a spiegare al pubblico il funzionamento del visore, ma anche a dichiarare da subito l’intento del lavoro: offrire uno sguardo nel virtuale senza perdere il contatto con la live performance.

“Flux” non vuole essere l’esperienza immersiva per perdere il contatto con la realtà del presente ed entrare a pieno nel virtuale, ma esplorare un’immersione emotiva, sicuramente consolidata dalla narrazione fisica e testuale della performer. Nel mondo di “Flux” c’è l’incontro tra una donna avatar e il proprio animale guida, in un ambiente naturale dal tessuto fiabesco che si trasla nella performance dal vivo attraverso scelte coreografiche riconoscibili in entrambi i mondi.

Sulla scena, una piccola scatola nera silenziosa, su cui siedono a semicerchio otto tra spettatori e spettatrici per incontrare la trasposizione umana dell’avatar virtuale. Una danzatrice filiforme, dal corpo dipinto con vernice fluorescente che, attraverso le luci di Isadora Giuntini, mappa venature e confini del suo corpo, dando sostanza a una ricerca di movimento che bascula tra mondo animale e umano.

Si tratta della restituzione di un corpo che conserva storie e connessioni profonde, che a tratti è commovente e viene sostenuta da parole che raccontano di ossa, di pelle, di memoria cellulare, di un corpo. Non frasi a effetto, ma micro-versi che raccordano visione e gesto, mente e cuore, in una tensione autentica in cui l’esperienza immersiva prende forma. E la commozione della coreografa a fine performance, visibile negli occhi e nella voce, testimonia la cifra sincera di questo lavoro: non un artificio spettacolare, bensì un rituale tenero, che richiede di connettersi su un piano emotivo per abbracciare il senso.

Questo contenuto è libero e gratuito per tutti ma è stato realizzato anche grazie al contributo di chi ci ha sostenuti perché crede in una informazione accurata al servizio della nostra comunità. Se puoi fai la tua parte. Sostienici

Accettiamo pagamenti tramite carta di credito o Bonifico SEPA. Per donare inserisci l’importo, clicca il bottone Dona, scegli una modalità di pagamento e completa la procedura fornendo i dati richiesti.



Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »