Marche

Fermo, il Consiglio di Stato boccia l’istituto Giovanni Paolo II. «Il provvedimento di revoca della parità scolastica risulta plurimotivato»


FERMO Il Consiglio di Stato ha ribaltato il pronunciamento del Tar e ha accolto il ricorso del Ministero della Pubblica istruzione; ha revocato la qualifica di parità scolastica e ha condannato il polo scolastico Giovanni Paolo II (coinvolto in passato in un’inchiesta sui diplomi facili) con sede a Fermo alla rifusione, in favore del Ministero dell’istruzione e del merito, delle spese e competenze del doppio grado di giudizio. 

Il verdetto

Nella sentenza, Il Consiglio di Stato ritiene che l’elevato tasso di assenteismo degli studenti, registrato dagli ispettori ministeriali, sia un fatto grave e sistematico, non spiegato da giustificazioni oggettive e non sanato dalle misure adottate dall’istituto. Le presunte irregolarità nei registri, nelle modalità di insegnamento, nella durata delle lezioni, nell’organizzazione delle classi e nella mancanza di strutture essenziali non risultano superate o sanate. L’argomentazione che la frequenza delle lezioni non sia requisito per la parità viene respinta richiamando la normativa e la giurisprudenza. La regolare frequenza è essenziale per il mantenimento della parità scolastica. La circostanza che la maggior parte degli studenti abbia superato l’anno per i giudici non elimina il rilievo delle gravi irregolarità strutturali e organizzative emerse. Il provvedimento di revoca risulta pertanto «plurimotivato». L’inchiesta era scattata a seguito di controlli del Ministero. E’ emerso che durante due ispezioni (14 dicembre 2022 e 13 febbraio 2023) è stato rilevato un tasso di assenze del 78% e dell’81%, equamente distribuito su tutti i corsi. In entrambi i giorni, 16 delle 38 classi erano completamente vuote, 14 delle quali deserte in entrambe le visite. Le misure adottate (lezioni registrate) per il Consiglio di Stato non sono risultate idonee né adeguatamente documentate. Secondo gli ispettori i registri di classe, sia cartacei che elettronici, presentavano gravi anomalie: dati artefatti, mancata annotazione delle assenze, correzioni in 12 classi su 38, mancata corrispondenza tra registri elettronici e cartacei. Ad aggravare il quadro anche la riduzione generalizzata della durata delle ore di lezione a 50 minuti, in violazione della delibera che prevedeva la riduzione solo in casi specifici. Inoltre la mancanza di insegnamento della religione cattolica (o alternativa), nonostante alcune famiglie avessero espresso l’opzione; l’assenza di laboratori attrezzati per informatica, lingue e scienze, con conseguente mancato svolgimento di ore di laboratorio.

La difesa

L’istituto ha sostenuto che il calcolo dell’assenteismo era errato, che molte assenze erano giustificate da condizioni particolari (malattia, attività sportiva, affidamenti), che erano state adottate misure di didattica a distanza, che gli accorpamenti di classi erano stati rimossi e la riduzione dell’orario era dovuta a esigenze di trasporto pubblico e che l’insegnamento della religione era presente nei piani orari. Ha inoltre sostenuto che la frequenza non è un requisito di legge per la parità scolastica e che la maggior parte degli studenti aveva superato l’anno e l’esame di Stato. Tesi che però non ha convinto il Consiglio di Stato.




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