Fender Electric XII, figlia di una moda effimera?
Nel 1969 la Fender dichiara ufficialmente chiusa l’esperienza della Electric XII; questa solid-body a 12 corde aveva compiuto il suo corso, dopo aver vissuto un momento di gloria nel cuore degli anni ’60.
Nonostante la sua breve vita, la Fender Electric XII ha lasciato un segno indelebile nella storia della musica del nostro tempo: ha avuto un ruolo cruciale in importanti registrazioni in studio, contribuendo a creare classici senza tempo.
L’immancabile Giacomo Bagorda mi ha offerto la possibilità di imbracciare ed esaminare la sua Fender Electric XII vintage originale del 1965, dunque è finalmente il momento di familiarizzare con questo strumento unico.
Stiamo per scoprire tutto sulla sua storia avvincente e sulle sue caratteristiche tecniche, sonore e di playability. In questo percorso rivelerò anche qualche segreto gelosamente custodito per anni!
6×2
Per cominciare, soprattutto a beneficio dei neofiti, perché questa bizzarra idea di raddoppiare il numero di corde di una chitarra? Sei corde non sono forse abbastanza?
In una chitarra a 12 corde, ciascuna delle tradizionali 6 corde viene doppiata, formando 6 paia di corde. Lo spazio tra le corde di ogni singola coppia è molto stretto, in modo da poter suonare le corde doppiate insieme, come se si trattasse di un’unica corda.
Ciò significa che fondamentalmente le chitarre a 12 corde si suonano con la stessa tecnica di diteggiatura delle chitarre tradizionali a 6 corde.
Il manico e il capotasto sono di solito leggermente più larghi per dare spazio alle corde aggiuntive. Le corde del Mi cantino e del Si sono semplicemente accoppiate all’unisono mentre le quattro corde restanti, Sol, Re, La e Mi basso sono accoppiate a intervalli di un’ottava.
L’idea è fondamentalmente quella di produrre un suono più corposo, più armonicamente risonante e articolato rispetto agli strumenti a sei corde.
Inoltre, il suono delle chitarre a 12 corde è caratterizzato da una sorta di effetto chorus, soprattutto nelle parti soliste e negli arpeggi.
Le corde sono disposte in modo che la corda più sottile e nota più alta di ciascuna coppia venga colpita per prima con una pennata verso il basso.
Tuttavia, alcuni produttori, come Rickenbacker, utilizzano una disposizione inversa in cui le corde più spesse, che forniscono l’ottava inferiore, vengono suonate per prime.
Personalmente tendo a considerare questa configurazione più intuitiva.
A long story, short
Sembra che le prime chitarre a 12 corde siano state realizzate dai liutai italiani. Questi artigiani provenivano da un’antica tradizione di corde doppiate su strumenti come chitarra barocca, liuto, mandolino e chitarra battente.
È probabile che alla fine del XIX secolo qualcuno di loro abbia condotto i primi esperimenti nelle fabbriche americane doppiando le corde alle chitarre.
I primi esemplari di chitarre a 12 corde furono usati dalle band messicane Mariachi. Tuttavia, questi strumenti non conobbero grande diffusione fino agli anni ’30 e ’40, quando divennero più comuni tra i musicisti folk e blues negli Stati Uniti.
In particolare, Leadbelly è considerato l’artista che più di ogni altro ha contribuito alla diffusione della chitarra 12 corde.
Due fratelli del Missouri, Russ e Claude Deaver, furono i primi a portare il concept della 12 corde in una chitarra elettrica. Nel 1954 costruirono la Stratosphere Twin, una chitarra a doppio manico che combinava sia un manico convenzionale a 6 corde che uno a 12 corde.
Questo strumento pionieristico era rappresentato dal virtuoso chitarrista Jimmy Bryant. Fu prodotto solo per pochi anni in una quantità limitata di un paio di centinaia di unità.
La pubblicità della Stratosphere Twin utilizzava uno slogan di sicuro effetto: “Le melodie suonate sul manico della 12 corde suonano come una sovraincisione di due chitarre“.
Gibson presentò un modello simile a doppio manico, al Namm Show di Chicago del luglio 1957: la “Hollow-Body” EDS-1275 ‘Double 12’.
Questo strumento veniva costruito su ordinazione; sembra che ne vennero costruiti meno di 40 pezzi; i primi esemplari non riportano nemmeno un numero di serie.
Lo slogan coniato da Gibson per presentare la ‘Double 12’ era: “Uno strumento emozionante e del tutto nuovo, per una risonanza più robusta ed effetti timbrici insoliti “.
Dopo un sostanziale restyling nel 1962, la EDS-1275 divenne una solid-body con una forma ispirata alla SG, oggi comunemente chiamata anche “SG double-neck”.
Nat Daniel, il fondatore di Danelectro, fu un grande pioniere di strumenti innovativi. Nel 1961, sviluppò il “Bellzouki” con il famoso chitarrista session-man italo-americano di New York Vinnie Bell. Il Bellzouki era finalmente una chitarra elettrica a manico singolo, completamente dedicata alla tecnica esecutiva a 12 corde.
Questo modello Danelectro, realizzato in due versioni, fu la prima chitarra elettrica a 12 corde disponibile sul mercato.
Venne lanciata con lo slogan in assoluto più roboante: “Evocano il fascino misterioso e il sapore di tempi e luoghi remoti, ma si suonano facilmente con la tecnica chitarristica che ti è già familiare“.
Nel 1963, la Rickenbacker creò una chitarra a 12 corde basata sul modello 360. Una configurazione ingegnosa delle meccaniche permise di contenere le dimensioni della paletta mantenendone la lunghezza invariata rispetto al modello a 6 corde.
L’8 febbraio del 1964 il secondo prototipo di questo nuovo modello 360/12 fu donato a George Harrison mentre era a New York, durante il loro primo tour dei Beatles negli Stati Uniti.
Harrison portò con sé a Londra la nuova Rickenbacker; questa divenne una delle sue chitarre principali, caratterizzando il sound dei Beatles in una dozzina di classici tra cui “A Hard Day’s Night” e “Ticket to Ride“.
Ciò rese la 360/12 la prima 12 corde elettrica ad avere un impatto significativo sul mercato. Lo slogan della campagna di lancio era: “Ora, una nuova dimensione nel suono!”.
L’influenza dei Beatles sui musicisti del loro tempo non sarà mai sottolineata abbastanza. Molte band si ispiravano al sound dei Beatles e iniziarono ad acquistare la nuova Rickenbacker a 12 corde. Tra queste band c’erano i Byrds di Los Angeles.
Il loro chitarrista Roger McGuinn, trovò che la Rickenbacker 12-corde si adattava perfettamente alle sonorità folk-rock della sua band. I Byrds sarebbero diventati altri influenti ambasciatori del potenziale sonoro delle 12 corde.
Nel Regno Unito, la copertina del Melody Maker del 18 Aprile 1964 consacrava la 12 corde al titolo di “nuova arma segreta dei musicisti britannici”.
Clarence Leo Fender
I tempi erano maturi: Clarence Leo Fender non poteva restare a guardare. Alla fine del 1964 aveva iniziato a sviluppare il progetto di una “solid-body” a 12 corde.
Ciò accadeva proprio quando Leo decise di cedere la sua azienda indipendente, relativamente piccola, a una grande multinazionale.
Leo Fender arrivò in ritardo rispetto ai suoi concorrenti ma, come al solito, seppe recuperare lo svantaggio.
Mentre la Rickenbacker 12-corde era semplicemente un adattamento del precedente modello 360 a 6 corde, Leo Fender scelse invece di progettare da zero un modello completamente nuovo.
Il 4 gennaio 1965 il passo importante fu compiuto: la Fender Electric Instruments Company venne venduta alla Columbia Records Distribution Corporation, una società controllata della Columbia Broadcasting Systems, conosciuta come CBS. Venne pattuita la cifra di 13 milioni di dollari; per avere un’idea approssimativa del valore attuale, basta moltiplicare per 10.
La nuova gestione cambiò il nome in “Fender Musical Instruments” e prese pieno possesso nel febbraio 1965. Il nuovo modello a 12 corde fu portato allo stadio di prototipo.
L’arrivo della Electric XII
Il 20 gennaio 1965, i Byrds registrarono una cover elettrificata di “Mr. Tambourine Man” di Bob Dylan. Il brano fu pubblicato come singolo il 12 aprile, come anteprima dell’album con lo stesso nome. In appena un mese il disco iniziò a scalare le classifiche.
In una strategia di marketing coerente, la direzione della CBS fece pressioni affinché gli artisti sotto contratto della Columbia Records adoperassero e mettessero in mostra strumenti Fender in foto e apparizioni pubbliche.
Si dà il caso che i Byrds fossero artisti della Columbia. L’11 maggio 1965 presentarono il loro nuovo singolo al programma TV di varietà musicale americano Hullabaloo, sulla NBC.
Mentre in studio di registrazione il cantante Gene Clark accompagnava la band con un tamburello, qualcuno pensò che, in una performance televisiva con base strumentale in playback, Clark si sarebbe reso più utile se avesse sfoggiato un prototipo della nuova Fender solid-body elettrica a 12 corde.
Dunque, in modo abbastanza ridicolo, Clark dovette rinunciare al suo tambourine su un brano intitolato “Mr. Tambourine Man” per fare finta di suonare la Fender 12-corde, proprio al fianco di Roger McGuinn, che brandiva con orgoglio la Rickenbacker realmente usata nella registrazione in studio.
Il mese successivo, nel giugno del 1965, 4 mesi dopo l’acquisizione di Fender da parte della CBS, il nuovo modello a 12 corde arrivò finalmente sul mercato.
La decal sulla paletta riportava il semplice nome di “Electric XII“, con il numero 12 scritto in numeri romani. Per qualche motivo arcano, la documentazione Fender non utilizzava mai questa denominazione, ma chiamava la chitarra ancor più laconicamente “12-String Electric”.
La Electric XII fu l’ultima chitarra con un design originale di Leo Fender, prodotta dalla società da lui fondata. Il prezzo di listino era di $ 339, con il supplemento di $ 17 per un look più esclusivo con finitura “custom color”.
Jingle-Jangle
Nel luglio 1965, il singolo “Mr. Tambourine Man”, dopo sole 6 settimane dal suo lancio, raggiunse la prima posizione, sia nella classifica americana “Billboard Hot 100” che nella classifica dei singoli britannica. Il caratteristico suono di chitarra di questa registrazione sarebbe diventato popolare con la definizione di “jingle-jangle sound“.
La Electric XII aveva dato prova di avere il vento in poppa; non avrebbe potuto essere lanciata in un momento più favorevole. Arrivò sul mercato con un ottimo tempismo e una buona promozione.
L’interesse intorno a questi strumenti sembrava così promettente che la Fender nel 1967 introdusse addirittura un secondo modello elettrico a 12 corde; la Coronado XII “hollow-body”, disegnata da Roger Rossmeisl.
Incontro ravvicinato
Il mio amico chitarrista di vecchia data Giacomo Bagorda è stato così gentile da prestarmi un pezzo prestigioso della sua collezione: una Electric XII della fine del 1965, addirittura ancora dotata del suo libretto di istruzioni originale.
Una particolarità che non passa inosservata è la lunga paletta, pensata per accogliere agevolmente le 12 meccaniche; la sua forma caratteristica le è valsa il soprannome di “mazza da hockey”.
Il design “Hockey Stick” venne utilizzato anche sulla semiacustica Coronado XII e sulle 2 acustiche Fender a 12 corde: la “Shenandoah” e la “Villager“.
Un largo ferma-corde mantiene saldamente in posizione le corde centrali attraverso i solchi del capotasto. La forma del corpo presenta una sagoma asimmetrica detta “offset“, un tratto distintivo dei design di Leo Fender. Il design “Offset” del body era difatti usato anche su altri modelli come la Jazzmaster, la Jaguar e il Bass VI.
Altre caratteristiche distintive tipiche della produzione di Fullerton, erano il manico “bolt-on” e la lunghezza della scala da 25½”, come i modelli di punta.
Il corpo in ontano ha verniciatura alla nitrocellulosa sunburst a 3 tonalità, che era la finitura standard. I primi modelli sunburst erano dotati di battipenna bianco perlato, ma Fender passò subito al tartarugato.
La Electric XII era offerta anche nelle altre consuete finiture “custom color” dell’epoca. La maggior parte dei modelli custom color aveva il battipenna bianco e l’elegante finitura della paletta in tinta abbinata al body.
Il ponte conferisce all’Electric XII un vantaggio rispetto ai modelli della concorrenza. Il design è impostato sulla stessa piastra trapezoidale in acciaio utilizzata sulla Duo Sonic II, introdotta a metà del 1964, ma vanta 12 sellette “a botte” regolabili indipendentemente.
Questo ponte, combinato con il sistema di montaggio delle corde attraverso il corpo, permette un’intonazione precisa e stabile.
La piastra dei controlli monta semplicemente i controlli master di volume e tono, con manopole nere “stile amplificatore”. Lo switch dei pickup è un comodo selettore rotativo a 4 vie.
Le prime 2 posizioni consentono di selezionare uno trai 2 pickup. La 3a posizione fornisce i due pickup insieme, in controfase tra loro con le tipiche frequenze medie scavate. Il manuale definisce questo suono “effetto di separazione ad ampio spettro sonoro”.
La quarta posizione dovrebbe dare entrambi i pickup insieme con fase allineata. Su alcuni modelli del primo anno di produzione è stato riscontrato che la quarta posizione ritorna semplicemente al pickup al manico ed è identica alla prima; questa chitarra è infatti una di quelle.
Una storia mai raccontata
I due pickup ereditarono il design “single coil” separato dal Fender Precision Bass del 1957; tuffiamoci nei dettagli nascosti della loro storia. Il pickup single-coil del Precision dei primi anni ’50 vantava un attacco di forte intensità, un’uscita presente e frequenze basse potenti.
Il rovescio della medaglia era che i coni degli amplificatori Bassman dell’epoca erano messi a dura prova e spesso saltavano. Inoltre questo pickup era soggetto a ronzii e rumore di fondo.
Nel 1957, il Precision Bass ricevette un sostanziale restyling, influenzato dal design della nuova Stratocaster. Leo Fender voleva passare a un nuovo tipo di pickup per risolvere questi problemi ben noti.
Seth Lover aveva appena sviluppato per Gibson l’innovativo pickup humbucker, quindi, per il nuovo pickup del Precision,
Leo si ispirò al design di Seth Lover e creò un pickup suddiviso in due bobine separate di mezza lunghezza, collegate in modalità humbucking: ogni bobina aveva polarità opposta e avvolgimento inverso rispetto all’altra.
In sostanza, Leo Fender creò quello che tecnicamente potrebbe definirsi un humbucker senza utilizzare due intere bobine parallele.
Leo temeva che il suo design “a bobina divisa” potesse essere considerato una violazione del brevetto di Seth Lover sull’humbucker.
Per ridurre il rischio che gli venisse intentata causa da Gibson, evitò di attrarre attenzione su questo aspetto del suo design nelle pubblicità e nella letteratura ufficiale Fender.
Con la Electric XII Leo Fender per la prima volta portò il concept dello split-coil su una chitarra. Il brevetto di Seth Lover era ancora in vigore, quindi la proprietà di “cancellare il ronzio” venne mantenuta riservata.
Nel 1979, dopo aver ceduto la Fender e aver lasciato la Music Man, Leo Fender si riunì al suo ex socio George Fullerton e creò il marchio G&L.
Nel 1988 Leo Fender mise tutta la sua esperienza nella Comanche, una sorta di Stratocaster potenziata. Questo modello monta i caratteristici pickup “Z-coil“.
Il brevetto di Seth Lover era ormai scaduto fin dagli anni ’70 e la brochure della Comanche finalmente pubblicizzava in pompa magna gli “Z-coil” come “nuovi humbucker single coil brevettati in esclusiva da G&L”. I “Z-coil” in realtà non sono altro che i discendenti in linea diretta dei vecchi “split-coil” della Electric XII.
Ad integrazione degli split-coil, per l’eliminazione del ronzio di fondo, le cavità della Electric XII erano coperte con piastre in ottone per la schermatura della messa a terra.
Alla lente di ingrandimento
Inizialmente la Fender Electric XII aveva una semplice tastiera in palissandro senza bordatura, con segna-posizione a punto. Nel dicembre 1965 il manico venne rifinito con bordatura bianca; un chiaro segno che il nuovo management della CBS stava ancora cercando di migliorare la qualità dei propri prodotti. Inoltre, alla fine del 1965 ci fu il passaggio dalle meccaniche Kluson Deluxe alle “F tuners”, tipiche della produzione CBS.
La chitarra di Giacomo, infatti, mostra un’interessante caratteristica di transizione, comune ad altre Electric XII dello stesso periodo: era già stata predisposta in fabbrica per meccaniche Kluson ma alla fine fu dotata di meccaniche del nuovo tipo.
Mi capitò di leggere l’inserzione per una Electric XII del 1966 di un noto rivenditore di chitarre vintage, in cui si diceva che sul retro della paletta erano visibili leggeri segni lasciati da meccaniche Kluson montate in precedenza. Questi segni sono in realtà originali di fabbrica.
La mia ipotesi è che le Kluson utilizzate sul lato dei cantini della paletta, che hanno lo stesso orientamento di quelle utilizzate sui modelli per mancini, scarseggiavano.
Quindi la Electric XII adottò le “F-tuners” molto prima degli altri modelli. La presenza di “F-tuners” su alcuni modelli mancini dello stesso periodo, sembrano confermare questa mia ipotesi.
Un’altra caratteristica osservata su diversi strumenti di questo periodo di transizione è che il ponte presenta placcatura al nichel sulle sellette e cromatura di periodo successivo sulla piastra trapezoidale. La grande maggioranza delle Electric XII fu prodotta nel 1966.
A metà del 1966 i segna-posizione a punto della tastiera furono sostituiti da intarsi “a blocchetti”; forse uno sforzo per tenere il passo con l’eleganza raffinata delle 12-corde Rickenbacker.
La fine di un’epoca
La Electric XII era uno strumento solido e affidabile che conobbe un uso frequente in studio di registrazione. Aveva un buon suono e probabilmente vantava una playability più confortevole di qualsiasi altro concorrente.
Eppure la Fender elettrica 12-corde non conobbe mai veramente popolarità come strumento da palco. Con l’arrivo del 1967 apparve chiaro che il successo delle Electric XII non andò oltre al loro periodo di luna di miele con il mercato.
Il trend della 12-corde nella musica a larga diffusione, era in rapido declino. Con l’affievolirsi dell’entusiasmo per le 12-corde, le vendite della Electric XII crollarono, anche più velocemente di quanto l’azienda avrebbe mai potuto prevedere. Con la domanda in costante e drastico declino, il modello finì fuori catalogo nel maggio 1969. La Coronado XII le sopravvisse ancora per un paio d’anni.
Vale la pena notare che oggi abbiamo il vantaggio di una prospettiva storica sugli eventi di quegli anni. Sappiamo che la tendenza delle chitarre elettriche a 12 corde passò rapidamente, mentre altre chitarre sarebbero state destinate a dominare il mercato e a continuare a vendere in grandi numeri fino ai giorni nostri.
Al contrario, a metà degli anni ’60, Leo Fender e altri produttori di strumenti musicali non avevano idea di quanto sarebbe durata la richiesta dei loro prodotti.
Dal loro punto di vista, le chitarre elettriche avrebbero potuto essere una moda passeggera arrivata con la “beat explosion” e destinata a svanire con la con la stessa rapidità con cui era emersa.
Investire milioni di dollari per espandere aziende relativamente piccole, rappresentava un grosso rischio. Questo fu un fattore determinante che portò molti imprenditori dell’industria musicale dell’epoca a cedere le proprie aziende a grandi società multinazionali. Aziende come CBS e Norlin, con disponibilità di ingenti capitali, si impadronirono di questo mercato.
Chitarre e patchwork
Dopo che la Electric XII fu messa fuori produzione, alla Fender rimasero in giacenza intere pile di parti avanzanti. A metà del 1969, l’azienda decise di riutilizzare queste parti facendole passare per un nuovo modello a 6 corde.
Virgilio “Babe” Simoni, dipendente di lunga data della Fender, ebbe la “brillante” idea di massacrare i corpi con una sega a nastro, nel disperato tentativo di mascherarne l’origine e simulare un improbabile design originale.
Vennero nascosti i fori praticati nella paletta con una impiallacciatura di acero laminato, furono tappate la cavità per la cordiera nella parte posteriore del corpo, fu installato il ponte vibrato delle Mustang e si assemblarono le diverse parti in configurazione a 6 corde.
A questo modello “freak” di chitarra venne inizialmente dato il semplice nome “Custom”, in seguito ribattezzato “Maverick”. Tutti i manici erano dotati di binding bianco e segnaposizione “block”, generalmente riportano timbri con date che vanno dal 1966 al 1968.
Per alzare la posta e rendere il bluff più convincente, nel listino prezzi del 1970 la chitarra aveva addirittura un prezzo più alto della Telecaster. Seguì un rapido calo dei prezzi, quando i clienti arrivarono a mangiare la foglia. Si stima che siano state commercializzate dalle 600 alle 800 chitarre Custom o Maverick, fino alla loro estinzione nel 1971.
Eredità culturale e testimonial
Nel corso degli anni successivi, Fender ha realizzato occasionalmente alcune serie di chitarre in versione a 12 corde, in particolare Stratocaster prodotte in Giappone. La Electric XII riappare ogni tanto, è stata recentemente riprodotta nella “Alternate Reality Series“.
Un fattore che contribuì al fallimento commerciale della Electric XII fu la scarsità di influenti endorser durante la sua produzione. La Electric XII fece una breve apparizione in un film di Elvis Presley nel 1966. Quello stesso anno Bob Dylan fu fotografato mentre usava uno dei primi modelli in studio per le registrazioni di “Blonde on Blonde“; Eric Clapton e Pete Townshend ebbero brevi flirt ma i veri momenti di gloria della Electric XII, ironicamente arrivarono solo dopo che ne cessò la produzione.
In particolare, Jimmy Page usò la sua Electric XII del 1965 in alcune storiche registrazioni in studio. Nel maggio del 1966, registrò l’epica progressione di accordi per il singolo da solista di Jeff Beck, “Beck’s Bolero”. Nel 2009, questa leggendaria session fu rievocata in una memorabile esibizione dal vivo alla cerimonia di introduzione di Jeff Beck nella Rock and Roll Hall of Fame.
Nel 1967, Page acquistò anche una Vox Phantom a 12 corde, che usò in un paio di canzoni per l’album Led Zeppelin II. Nel dicembre 1970, Page usò sia la Vox Phantom XII che la Electric XII per la registrazione in studio di “Stairway to Heaven“.
Page ha affermato che la Vox e la Fender hanno un suono simile e che scegliere tra loro era meramente una questione di playability e sentimento a pelle.
Jimmy Page tornò ad utilizzare esclusivamente la Fender Electric XII, per la registrazione in studio di “The Song Remains the Same“, sull’album “Houses of the Holy“, pubblicato nel 1973. Questo brano è probabilmente la vetrina più rappresentativa della Fender 12 -corde.
Nei concerti dei Led Zeppelin, Page sceglieva la SG a doppio manico costruita da Gibson appositamente per lui, in modo da poter passare senza soluzione di continuità dalle parti a 12 corde a quelle a 6 corde.
Altri musicisti degni di nota che usarono Electric XII originali degli anni ’60 furono i Velvet Underground; i due chitarristi, Lou Reed e Sterling Morrison, ne avevano addirittura una ciascuno. La Electric XII può essere ascoltata in magnifici brani come “Beginning to See the Light” e “What Goes On” dal terzo album omonimo della band, pubblicato nel 1969.
Il genio Tim Buckley, padre di Jeff, utilizzava ampiamente una Fender Electric XII per il suo repertorio. Si dice che quando morì nel 1975, all’età di 28 anni, la Electric XII e un amplificatore fossero i suoi unici beni terreni.
Quando avevo 18 anni mi capitò di vedere per la prima volta Johnny Winter, in una replica televisiva italiana della sua apparizione del 1970 al programma televisivo tedesco “Beat Club”. Mi innamorai subito del suo modo di suonare e divenni un suo grande fan.
Quando arrivò Youtube, mi resi conto che in quel video suonava il brano “Mean Town Blues” con una Fender Electric XII in una configurazione custom con sole 6 corde.
A quei tempi Winter usava questa chitarra per le sue canzoni in accordatura aperta e la portò anche sul palco del Festival di Woodstock. Penso che sia lecito supporre che l’abbia usata anche nel suo seminale album in studio “The Progressive Blues Experiment”.
Johnny Winter ha dimostrato che la Fender può suonare più aggressiva rispetto ad altri modelli a 12 corde. Quindi, se vi imbattete in una Electric XII e volete usarla in tradizionale configurazione a 6 corde, sappiate che si può fare con ottimi risultati.
Anche di più; alcuni musicisti sperimentano un setup personale, con 8, 9 o 10 corde ad esempio, usano i cantini come corde singole per la solistica mentre raddoppiano un paio di corde basse per accenti armonici più pronunciati. Sono convinto che strumenti insoliti portino ad esplorare percorsi insoliti, portando sia il musicista che l’ascoltatore fuori dalle proprie zone di comfort; è proprio lì che nascono le idee più interessanti.
In questa prospettiva la gloriosa Fender Electric XII deve probabilmente ancora rivelare tutto il suo potenziale sonoro.