Fedez torna con Temet nosce, ma uscirà davvero dal suo Truman Show?
In parte ci aveva già provato a febbraio con Battito, il pezzo con cui aveva partecipato a Sanremo e che raccontava la sua depressione, meno piacione di altri e che, per questo, aveva convinto degli ascoltatori che effettivamente non riescono a distogliere le orecchie altrove (peraltro, è stato certificato disco di platino). Dopo un periodo musicalmente un po’ così, avrebbe dovuto sancirne il rilancio, si era parlato addirittura di un concerto a San Siro, ma in realtà è diventato una doppia data al Forum di Assago (neanche sold out, la seconda). E Fedez, intanto, aveva ripreso a fare il Fedez: le solite faide con frecciatine a mezzo social, le solite polemiche (quella sulla sagra dello stoccafisso), il solito tormentone estivo stavolta pure innocuo, Scelte stupide con Clara, a mandare a farsi benedire ogni tentativo di vendersi come cantautore redento. Fedez, di nuovo, fa tutto e il contrario di tutto – ed è lecito chiedersi se sia pure una strategia, ma tant’è.
Temet nosce ritorna dalle parti di Battito, stavolta con un approccio più radicale, vuoi perché la produzione è meno zarra, vuoi perché non c’è un ritornello spudoratamente forte, vuoi perché non essere all’Ariston implica che, di sottofondo, la richiesta non sia sempre la stessa: guardatemi, ascoltatemi, ci sono anch’io (soprattutto io). È un po’ la sua versione di Dubbi di Marracash, con cui tra l’altro aveva litigato ormai dieci anni fa (difficile tenere conto di tutto), in certi punti – come quello in cui compare una voce “aliena”, una sorta di voce della coscienza, al di là del denudarsi – la ricorda parecchio. Poi, per carità, al suo interno Fedez fa Fedez (eh già) e non si smentisce, specie quando punta sulle punchline a effetto, con giochi di parole che nel suo caso nel 2014 stupivano e oggi sono un marchio della casa da dare quasi per scontato. Su tutti, il momento in cui dice di voler trovare «un senso ad una vita che fa senso, so che esiste un lieto fine ma in un altro multiverso».
E fin qui tutto bene, la narrazione è chiara: Fedez che si libera dalle catene che gli abbiamo messo e che, con un pezzo del tutto inaspettato per forma e sostanza, ce le canta e ce le suona. Ok. Il problema è che diversi aspetti non tornano. Tenendo il parallelo con Dubbi – una delle canzoni italiane più importanti dell’ultimo decennio, capace di portare a un artista rap la prima Targa Tenco di sempre (a Marracash, appunto, nel 2022 per Noi, loro, gli altri) – c’è che lì il protagonista si mette davvero a nudo, riflette sul suo ruolo di rapper in mezzo alla gente e, soprattutto, si concede l’autocritica, si smonta da sé. È una prospettiva vincente, perché consente all’artista, che pure per natura sta su un piedistallo, di scendere e di avvicinarsi al pubblico, che a sua volta ne è attratto. Ecco, con Fedez tutto questo non succede. Di più, è il contrario. Più che cantarcele e suonarcele, Fedez, se le canta e se le suona da solo. Resta lontano, inavvicinabile.
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