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Fabio Rovazzi: «L’amore è come la boxe: impari a difenderti. Ma la popolarità complica le relazioni, anche con gli amici: non sai mai se qualcuno si avvicina solo per convenienza»

Poco prima di iniziare questa intervista Fabio Rovazzi ha una sola preoccupazione: ha ordinato online un CarPlay da una piattaforma cinese ma il corriere, non trovandolo al suo indirizzo, ha pensato che lui abbia rifiutato la consegna. «Sto provando a scrivere a questo tipo, ormai stiamo diventando amici», commenta Rovazzi sprofondato su un divano scuro nella sede milanese della Sony, l’etichetta discografica che ha da poco tenuto a battesimo il suo nuovo singolo: si chiama Red Flag e racconta, insieme a Paola Iezzi e Dani Faiv, le molte sfaccettature che una relazione amorosa può avere. «Tutti abbiamo avuto a che fare con il dramma della red flag, e il fatto che chiunque, ascoltando la canzone, abbia subito ricreato nella propria mente un volto mi ha fatto pensare», racconta Rovazzi mentre si mette le mani dietro la nuca, come se fosse seduto su una sdraio a bordo piscina. La visiera del suo cappello non mi permette di vedere in modo chiaro i suoi occhi, che per quasi tutta la conversazione saranno indirizzati in un angolo della stanza senza quasi mai incrociare i miei.

Voleva parlare a tutti con questa canzone?
«In realtà ho pensato a me, ma l’argomento è talmente largo che prende tutti. Ho scelto un registro molto divertente e leggero perché non volevo né cadere nel dramma né alimentare polemiche inutili».

Cosa c’è della sua esperienza di coppia nella canzone?
«Diverse cose. Non avere le coperte e dormire sul parquet, per esempio, è la mia quotidianità, tant’è che quando la mia ragazza deve partire so già che riuscirò a dormire comodamente nel letto. Ho preferito, però, evitare di inserire cose troppo personali, incluse quelle inerenti alle storie del passato».

Perché?
«Perché poi è un attimo che ti arriva il messaggio… a parte questo, sono una persona molto discreta: cerco sempre di divertire e di divertirmi. Se posso essere tranquillo e scanzonato sono più contento».

Quand’è che capisce che il divertimento può essere un’arma giusta per parlare al pubblico?
«Adoro il doppio strato che ha il divertimento, perché spesso ti permette di parlare di argomenti molto seri affrontandoli in una chiave nuova che stuzzica lo spettatore. È un meccanismo della musica che mi ha sempre affascinato».

Perché parlare proprio adesso d’amore?
«È un argomento che ci appartiene, anche se non riesco a capire come fanno molti cantautori a scrivere delle canzoni d’amore con così grande intensità: sembra che siano innamoratissimi sempre. Ovviamente buon per loro, anche perché esistono un sacco di pezzi d’amore giganteschi che ascoltiamo e nei quali ci ritroviamo».

Lei in quale pezzo d’amore si ritrova?
«Non sono molto da canzoni d’amore, a dirla tutta».

Che ruolo ha avuto e che ruolo ha oggi l’amore nella sua vita?
«È un po’ come un allenamento di boxe: nel momento in cui pigli due destri, impari a difenderti col braccio sinistro. Più vai avanti e più cresci e migliori, anche se è logico che negli anni, a voler essere realistici, l’amore si attenua. Le sensazioni più forti le provi in età adolescenziale mentre, man mano che cresci, inizi ad apprezzare le cose più semplici e normali».

L’amore dà o toglie libertà?
«Dipende da come uno è fatto e in che relazione si trova. Se sei in una relazione troppo opprimente, per esempio, è normale che ti tolga qualcosa. Personalmente sono arrivato a un punto della mia vita dove in cui inizio ad apprezzare molto di più la quotidianità anziché cercare sempre una situazione di stimolo per tenere viva la relazione».

Mai sentito la pressione del matrimonio o di mettere su famiglia?
«Mia madre un po’ rompe su questo aspetto, ma passa in secondo piano. Non mi sono mai ritrovato a vivere una situazione di questo tipo, nel senso che non sono mai arrivato a discuterne».

Ma lei ci ha mai pensato?
«Sono pensieri che ogni tanto mi sfiorano, ma non sento una pressione particolare. Se si deve fare, si farà. Con grande nonchalance e serenità».

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