Ex Ilva, presidio dei sindacati davanti alla sede della società: “Necessario il cambio di governance”
I lavoratori di Acciaierie d’Italia provano a mettere pressione agli azionisti. In concomitanza con l’assemblea dei soci, giovedì 23 novembre, si riuniranno in presidio davanti alla sede della società, in viale Certosa, a Milano, dalle 10.30 alle 13. “Riteniamo estremamente opportuno mettere in campo un’ulteriore iniziativa per manifestare contro l’attuale gestione industriale del management espressione di ArcelorMittal e la totale incapacità del governo, azionista attraverso Invitalia, di assicurare una prospettiva positiva alla vertenza”, accusano le segreterie nazionali di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm. I sindacati chiedono “scelte che rilancino l’azienda con investimenti industriali e ambientali”.

La richiesta arriva anche dalle assemblee che si sono svolte negli stabilimenti dell’ex Ilva. L’ultima, in ordine di tempo, a Taranto, dove gli operai delle tre sigle confederali hanno organizzato un corteo interno per chiedere il cambio della governance e una giusta transizione ecologica e sociale. “Il governo Meloni apra un confronto serio con le organizzazioni sindacali, diversamente continueremo nelle mobilitazioni per impedire la chiusura dello stabilimento siderurgico. Bisogna cambiare la governance per garantire il rilancio produttivo, l’occupazione e l’ambiente”, avverte Francesco Brigati, segretario generale della Fiom del capoluogo jonico. “Il governo – sottolinea Valerio D’Alò, responsabile nazionale siderurgia della Fim Cisl – ci parli chiaramente dei contenuti della trattativa con ArcelorMittal. No ad un secondo accordo segreto, l’intero gruppo ha bisogno di rilancio, non di ammortizzatori sociali”.

Il cambio della governance, con l’acquisizione del controllo della società da parte di Invitalia, rappresenta, secondo i sindacati, l’unica soluzione ad una crisi che potrebbe diventare irreversibile. La Fiom Cgil accusa il governo di essere venuto meno all’impegno di sottoscrivere un aumento di capitale per consentire alla parte pubblica di acquisire il controllo della società, assunto dal ministro Urso il 19 gennaio scorso. La situazione è cambiata rapidamente nei mesi successivi.
Il no del governo al passaggio di maggioranza
Nel governo è prevalsa la linea contraria al passaggio in maggioranza, in considerazione delle difficoltà legate alla gestione di un’attività industriale complessa come quella siderurgica. Si è così arrivati alla firma, l’11 settembre scorso, di un memorandum of understanding fra il ministro Raffaele Fitto e i rappresentanti di ArcelorMittal, il cui contenuto non è mai stato reso pubblico. Secondo alcune ricostruzioni, l’intesa prevederebbe investimenti per 4,62 miliardi, di cui 2,27 provenienti da fondi pubblici europei, per la decabornizzazione degli impianti.
Nessun impegno, invece, sarebbe previsto per ArcelorMittal. Il nodo riguarda proprio il ruolo del socio privato, che controlla il 62 per cento della società. Finora dai rappresentanti del colosso franco-indiano della siderurgia non è arrivata alcuna apertura su possibili apporti di capitali per sostenere non soltanto la transizione verde degli impianti, ma anche la continuità delle attività ordinarie. Qualche giorno fa, Lucia Morselli, amministratrice delegata di Acciaierie d’Italia, nel corso di un’iniziativa pubblica ha detto chiaramente che per sostenere la transizione ecologica e la decarbonizzazione è necessario l’impegno dei governi.
Il possibile nulla di fatto in assemblea
In questa situazione, non è da escludere che anche l’assemblea degli azionisti del 23 novembre, che dovrà prendere atto delle dimissioni del presidente Franco Bernabè e nominare il successore, si risolva in un nulla di fatto. Per finanziare il processo di decarbonizzazione i fondi assicurati dal governo non sono sufficienti. Ne servono altrettanti da parte del socio privato, che per il momento continua a nicchiare. Senza contare che sarà necessario tirare fuori immediatamente 320 milioni, necessari per proseguire un’attività ormai ridotta al minimo. Quest’anno la produzione di acciaio sarà di circa tre milioni di tonnellate, la metà di quella prevista nel piano. Basta questo dato per giustificare l’allarme dei sindacati.
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