Ex Ilva e forno elettrico, intervista a Grondona (Fiom)
Genova. Storico segretario della Fiom genovese che ha guidato per oltre un ventennio, Franco Grondona ha vissuto gli anni in cui le fabbriche a Genova avevano decine di migliaia di addetti. Ha difeso con i denti lo stabilimento di Fincantieri di Sestri Ponente con le proteste, gli scioperi e l’occupazione dell’aeroporto che gli è costato anche un processo penale (“La Fincantieri di Sestri l’ho salvata io” dice oggi senza falsa modestia).
Militante e poi dirigente di Lotta Comunista, a 23 anni si è messo a fare l’operaio a Campi mentre aveva già dato tutti gli esami della Facoltà di Economia e Commercio. Ha portato in piazza migliaia di metalmeccanici per difendere il proprio posto di lavoro, compresi quelli della travagliata ex Ilva di cui ha vissuto come leader sindacale tutti i capitoli principali, dalla chiusura dell’altoforno al commissariamento, alla vendita a Arcelor Mittal.
Martedì Grondona, 78 anni, era al convegno della Fiom sul futuro della siderurgia a Genova dove è stato presentato il modello del forno elettrico ad arco della società Danieli, organizzato però due mesi prima dell’annuncio del Governo del piano per l’ex Ilva che prevede un forno elettrico per lo stabilimento di Cornigliano. Genova24 lo ha intervistato.
Grondona, un forno elettrico a Genova apre una prospettiva nuova per Cornigliano…
“Fino a due mesi fa era la prospettiva era che se chiudeva Taranto avrebbe chiuso anche Genova. Adesso il progetto del Governo cambia la situazione: un forno elettrico da 2mila tonnellate permette di bypassare il laminatoio a caldo. Dal forno uscirebbe il lamierino che poi viene zincato e stagnato a Genova, Novi e Racconigi. Questo forno permetterebbe di rilanciare la siderurgia a Genova e nel Nord Italia indipendentemente da Taranto. Ci vogliono tre anni per costruirlo e un miliardo non è poi così tanto”.
L’ipotesi spezzatino oggi è più vicina?
“La questione è che a Taranto la siderurgia non vuole più nessuno. Non la vogliono i cittadini né le istituzioni locali. C’è la questione della magistratura con gli impianti che restano sotto sequestro da anni e ci sono gli operai di Taranto non protestano. Forse a Taranto mille euro al mese di cassa integrazione sono sufficienti. A Genova non lo sono, e in ogni caso non è possibile che l’Italia abbandoni la siderurgia, anche strategicamente. Quando è arrivata Mittal non è vero come è stato detto che ha comprato Taranto per chiuderla. Ha messo i suoi migliori manager per risanare Taranto ma ha chiesto in cambio lo scudo penale. Poi il governo Conte glielo ha tolto. Non dico che fosse giusto avere lo scudo penale, ma in una situazione simile Mittal non poteva rischiare che i suoi manager subissero condanne pesanti. Così ha fatto marcia indietro, ha scalato cinque marce perché non poteva rischiare”.
Condivide le parole dette dalla sindaca Silvia Salis?
“La sindaca Salis martedì al convegno è stata bravissima. E’ giusto ora approfondire e capire ma rispetto al tema ambientale è fondamentale affidarsi alla scienza, come ha detto la sindaca”.
Qualcuno comincia a lanciare raccolte firme e promettere barricate…
“A parte che dal punto di vista ambientale il forno elettrico non emette fumi. Non li emetteva neppure il forno elettrico di Campi dove lavoravo io prima della chiusura nel 1988. Quello era per l’epoca un forno all’avanguardia che fu chiuso perché l’Europa all’epoca doveva ridurre le quote dell’acciaio, non perché era inquinante. Era rumoroso, sì, ma oggi le tecnologie sono diverse e il costruttore ha spiegato che a differenza dei vecchi forni, questo ha un sistema chi consente di non essere neppure rumoroso. E non sarà realizzato vicino alle case, bensì verso la diga”.
Patrizia Avagnina (ex Comitato Donne Salute e Ambiente) dice che a Cornigliano non vogliono un grammo di inquinanti in più e temono la logistica oltre che il forno…
Io non voglio polemizzare con la Avagnina che è oggi semplicemente una cittadina di Cornigliano. Non sono d’accordo con quello che dice mentre sono d’accordo con la sindaca Salis di affidarsi alla scienza per avere risposte. Rispetto alla logistica fra l’altro i rottami potrebbero arrivare anche con le navi.
Non teme una contrapposizione tra abitanti e lavoratori?
No. Io a Cornigliano ci sono nato e ci vivo da 78 anni. La gente di Cornigliano non è come la dipingono alcuni articoli di stampa. Anche ai tempi dello storico comitato della Leila Maiocco, molte di quelle donne che si vedevano al centro civico sapevano quanto il lavoro era importante. Tante di quelle che dicevano che l’altoforno andava chiuso poi mi chiedevano come far entrare in stabilimento i loro figli. E in questo caso con un forno elettrico ci sarebbero 700-1000 posti di lavoro. Al contrario se chiude Taranto e a Genova non si facesse il forno elettrico saremmo tutti licenziati anche a Cornigliano e parliamo di 950 lavoratori. A chi dice che vorrebbe la passeggiata sul mare al posto dell’Ilva rispondo che ha nemmeno un po’ di coscienza sociale.
L’accordo di Programma dell’Ilva ha compiuto 20 anni: quale bilancio ne fa la Fiom?
“Ci dissero che quell’accordo di programma era un regalo ai Riva ma non è stato così o, meglio, bisogna ricordare che i Riva furono gli unici, quando fu deciso che l’altoforno doveva chiudere a farsi avanti e a proporre di potenziare gli impianti a freddo, facendosi carico dei lavoratori dopo tre anni di cassa integrazione. Non ci fu nessun altro che si fece avanti per quelle aree, per venire a produrre qualcos’altro. Riva si fece carico di tutti gli occupati che allora erano 2.600 e quell’accordo ha tutelato i lavoratori che sono rimasti grazie all’integrazione salariale con i lavori socialmente utili. Poi è vero che il patto che firmammo che coniugava ambiente e lavoro avrebbe dovuto portare più occupati, invece di occupati in questi 20 anni ne abbiamo persi 1500. Anche negli anni recenti nessuno si è fatto avanti per le aree quando come Fiom abbiamo detto che se non ci fosse stato un rilancio avremmo potuto ragionare su una revisione dell’accordo di programma. Fra l’altro ricordo che l’accordo di programma del 2005 prevedeva 200mila metri quadrati di aree liberate a uso industriale e in quelle aree le industrie non sono mai arrivate, solo i container di Spinelli”.