EV e bando ai motori termici nel 2035. Il nuovo piano lo discute l’UE ma la partita si gioca in Germania
L’apertura al confronto dimostrata dalla Commissione Europea nei confronti dell’industria dell’auto del Vecchio Continente, che secondo la potente associazione tedesca VDA investe 320 miliardi di euro nella trasformazione sostenibile, andrebbe oltre il piano condiviso annunciato per il 5 marzo. Secondo il settimanale Der Spiegel arriverebbe a includere la revisione della scadenza del 2035 con l’ipotesi di prolungamento dei veicoli ibridi plug-in. Le possibili aperture comunitarie riguarderebbero anche i biocarburanti, spinti dal governo italiano (Eni è posizionata bene su questo fronte), che potrebbero venire tollerati anche dopo il 2035 come quelli sintetici, per i quali la Germania aveva già ottenuto una deroga.
Nondimeno, le ibride ricaricabili alla spina sono “eco-friendly” (soprattutto i Suv di grandi dimensioni) solo sulla carta, poiché le analisi sulla percorrenza reale hanno dimostrato che l’utilizzo su strada avviene prevalentemente con i motori a combustione interna e ben poco con quelli elettrici. E se l’autorevole testata ha ipotizzato un simile intervento, il portale Energie-Bau, tedesco pure quello, ha riportato il testo inglese di un documento attribuito alla stessa Commissione in cui si legge che “come parte del dialogo, individueremo soluzioni immediate per salvaguardare la capacità dell’industria di investire, guardando a possibili flessibilità per assicurare alla nostra industria di restare competitiva, senza perdere le ambizioni complessive del 2035”.
La Germania è l’epicentro di questo terremoto perché i suoi costruttori sono particolarmente esposti non solo rispetto alla Cina, che vale fra il 30 e il 40% di volumi e margini, ma anche agli Stati Uniti. Il governo uscente aveva eliminato gli incentivi alla conversione a sorpresa e in anticipo rispetto ai programmi, ma in vista delle elezioni anticipate del 23 febbraio il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz (difficilmente entrante) non ha escluso una loro reintroduzione e il suo rivale cristiano democratico Friedrich Merz (il probabile successore) si è schierato per la libertà tecnologica. Il peso del paese è importante e in caso di voto incide anche per numero di abitanti.
Che l’aria sia cambiata lo dimostra soprattutto Bmw, il costruttore meglio attrezzato e meno penalizzato rispetto alle eventuali multe che potrebbero scattare alla fine dell’anno in caso di mancato raggiungimento dei più restrittivi obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2. Il suo Ceo Oliver Zipse si sarebbe sbilanciato a livello comunitario per una revisione della strategia, che include anche i dazi applicati alle importazioni dagli Stati Uniti, finora del 10’% e che concorderebbe nel ridurre al 2,5% per “ammorbidire” l’amministrazione Trump. Bmw, del resto, è il primo esportatore di auto degli USA (di sicuro come controvalore), dove ha il proprio più grande stabilimento al mondo.
A rimetterci potrebbe essere Tesla, che pure si è insediata con una Gigafactory vicino a Berlino e che lo scorso anno ha chiuso male in Germania, il più grande mercato europeo, e che ha cominciato anche peggio il 2025 con una flessione vicina al 60%. Non solo il costruttore guidato da Elon Musk non beneficerebbe più delle risorse che gli verserebbero le case che vogliono evitare le sanzioni per lo sforamento dei limiti sulle emissioni, ma si ritroverebbe anche ad aver investito “inutilmente” in una fabbrica in Europa. Il marchio riconducibile al manager di origine sudafricane sarebbe stato penalizzato anche per via delle sue esternazioni a favore della AfD, il partito estremista di xenofobo e di destra molto radicato nei Land della ex DDR. Alcune grandi aziende hanno già escluso Tesla dalla lista dei costruttori dai quali acquistare auto elettriche.
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