Eternit, la Cassazione annulla di nuovo la condanna a Schmidheiny per la morte dell’operaio di Cavagnolo
Un altro colpo per le vittime dell’amianto e i familiari che da vent’anni chiedono giustizia per le responsabilità dell’Eternit, l’azienda principale produttore di fibrocemento che in Italia ha aperto impianti a Casale Monferrato e poi, tra gli altri, a Cavagnolo, Bagnoli, Rubiera. Dopo la prima pronuncia della Suprema Corte che il 19 novembre 2014 dichiarò prescritto il reato di disastro ambientale, bloccando i risarcimenti e annullando la condanna a 18 anni inflitta al magnate svizzero Stephan Schmidheiny, ultimo erede della famiglia e unico superstite dei soci titolari fino al 1986, venerdì 21 marzo è arrivata anche la seconda pronuncia degli ermellini che annulla un’altra volta la condanna per omicidio colposo per la morte per asbestosi di un operaio di Cavagnolo, disponendo un nuovo rinvio.
In base all’inchiesta della procura di Torino, Schmidheiny era accusato di aver omesso consapevolmente le misure necessarie a tutelare la salute dentro e fuori dai suoi stabilimenti. Si approdò così al cosiddetto “Eternit bis“, che è stato però diviso in quattro processi: quello per le vittime di Cavagnolo era stato affidato a Torino per competenza territoriale e nel 2018 Schmidheiny è stato condannato in primo grado a quattro anni di reclusione per due decessi, pena poi ridotta a un anno e otto mesi in secondo grado. La Cassazione aveva annullato una prima volta, rinviando tutto alla Corte d’appello di Torino. Così, nel dicembre scorso, è stato celebrato un nuovo processo d’appello con esito identico e conferma della condanna. Ora è tutto da rifare, un’altra volta, secondo la Cassazione che ha accolto la richiesta del procuratore generale.
La vittima al centro di questo filone è Giulio Testore, dipendente dello stabilimento Saca Eternit di Cavagnolo (Torino), morto nel 2008 per una malattia che secondo l’accusa è legata all’esposizione all’amianto per circa 27 anni. Oltre a Testore era stato preso in esame il caso di Rita Rondano, deceduta nel 2012 per un mesotelioma pleurico a pochi mesi dalla diagnosi. La donna aveva subito una duplice esposizione alla fibra killer: residenziale, poiché abitava a meno di 1 km dallo stabilimento di Cavagnolo, e da lavoro agricolo poiché svolgeva le sue mansioni su terreni poco distanti dallo stabilimento incriminato, in precedenza contaminati dall’amianto. La difesa dell’industriale aveva impugnato il provvedimento e in appello, in parziale riforma della sentenza applicata, il magnate svizzero aveva dovuto rispondere esclusivamente della morte di Testore e la pena era stata quindi ridotta a 1 anno e 8 mesi, con la concessione del beneficio della sospensione condizionale.
“Questo verdetto potrà avere ricadute importanti sui processi Eternit scaturiti dall’inchiesta avviata dalla procura di Torino”, avverte l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto e legale dei familiari. Il filone più consistente, per le quasi 400 vittime tra dipendenti e residenti, è quello legato allo stabilimento di Casale Monferrato, dove in primo grado la condanna per Schmidheiny è stata a 12 anni, con il reato passato da omicidio doloso a colposo aggravato e la conseguente prescrizione per 199 decessi cancellati dalla prescrizione. “Il rischio – commenta Bonanni -, è che il tutto venga falciato dalla scure della prescrizione: non possiamo comprendere, né condividere, la decisione della Corte, ma il nostro impegno proseguirà in tutte le competenti sedi, per la bonifica, la messa in sicurezza, la tutela medica e risarcitoria di tutte le vittime e dei loro congiunti”.
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