Estendere l’obbligo a 18 anni ed eliminare la scuola media: la ricetta contro la dispersione scolastica

Nonostante il miglioramento degli ultimi dieci anni, l’Italia resta il secondo Paese dell’Unione Europea per incidenza di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono in formazione. I Neet rappresentano un fenomeno non solo sociale, ma anche economico: il costo stimato ammonta a 24,5 miliardi di euro all’anno, l’equivalente di un’intera manovra finanziaria.
Il dato mostra una sfumatura importante: due terzi dei Neet dichiarano di voler lavorare, mentre solo un terzo è davvero inattivo.
L’istruzione come punto critico
Lo studio, presentato al Forum The European House di Cernobbio, mette in evidenza come l’Italia investa meno in istruzione rispetto alla media europea: il 4% del Pil, contro il 4,8% Ue. Un divario che si riflette nei risultati:
- tassi di laurea più bassi rispetto alla media europea;
- scarsa internazionalizzazione degli atenei;
- poca attenzione alla formazione degli adulti.
Questi elementi concorrono a un quadro di fragilità strutturale che rende più difficile la piena partecipazione dei giovani al mercato del lavoro.
Otto punti per ridisegnare la scuola
La ricerca propone otto linee di riforma per rilanciare il sistema educativo italiano:
- estensione dell’obbligo scolastico da 0 a 18 anni;
- unificazione del ciclo delle scuole secondarie;
- rinnovamento della figura del docente, con retribuzioni più adeguate;
- introduzione di modelli didattici innovativi;
- sistemi di valutazione indipendenti per scuole e insegnanti;
- maggiore attenzione alla formazione permanente degli adulti;
- strategie per favorire l’internazionalizzazione degli atenei;
- riduzione delle disuguaglianze territoriali nell’accesso all’istruzione.
Le ricadute economiche
Se attuate, queste misure potrebbero avere un impatto rilevante: una diminuzione significativa del numero dei Neet, un risparmio annuo di circa 5,1 miliardi oggi persi con la “fuga di cervelli”, e un incremento complessivo di 485 miliardi di Pil tra il 2030 e il 2060. A ciò si aggiungerebbe un rafforzamento della competitività del Paese e della sua attrattività internazionale.
Valditara: “Sistema italiano competitivo, ma restano divari storici”
In sala era presente anche il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che ha messo in evidenza alcuni segnali positivi. Tra questi, la diminuzione degli abbandoni scolastici collegata al decreto Caivano, che introduce misure più stringenti per garantire la frequenza obbligatoria.
Il ministro ha spiegato che in provincia di Napoli, prima del decreto, le segnalazioni di mancata frequenza al termine del percorso scolastico erano 7.359, scese a 1.809 dopo l’entrata in vigore delle nuove regole. Nel complesso, la dispersione esplicita in Italia è oggi all’8,3%, un dato migliore rispetto al 10% registrato in Germania e in altri Paesi Ue, e già sotto il target del 9% fissato per il 2030.
Valditara ha però evidenziato che le medie nazionali nascondono divari significativi: “Non è il sistema scolastico italiano ad essere carente. Siamo tra i migliori in Europa, ma resta il problema storico della distanza tra Nord e Sud, e oggi anche tra centri urbani e periferie”.
Pubblico e privato: differenze nei risultati
Il ministro ha citato i dati della Campania come esempio del peso delle diverse tipologie di scuola. Nelle scuole pubbliche, la dispersione implicita – quella che misura il livello delle competenze e non l’abbandono – è del 9,1%, in linea con la media italiana dell’8,7%.
Molto diverso il quadro delle scuole paritarie: la media regionale sale al 17,6% a causa di picchi del 39,3% registrati nei cosiddetti “diplomifici”. Una distinzione che, secondo Valditara, non deve essere generalizzata: le paritarie cattoliche, infatti, mostrano tassi simili a quelli delle scuole pubbliche.
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