Ergastolo per Erik Zorzi, che strangolò la moglie. Le attiviste: «Questo processo non avrebbe dovuto aver luogo. Nicoleta Rotaru aveva denunciato dieci volte e i carabinieri hanno metodicamente minimizzato i fatti»
Uno strano suicidio. Poi le registrazioni drammatiche di quella lunga notte, l’arresto e il processo.
E adesso la Corte d’Assise di Padova ha condannato all’ergastolo Zorzi, 43 anni, per l’omicidio dell’ex moglie Nicoleta Rotaru, avvenuto nella sua casa di Abano Terme, a Padova il 20 agosto 2023. Anni di violenze, la ricerca di libertà e di una nuova vita di Nicoleta e quel decesso silenzioso, proprio nel momento in cui la donna avrebbe dovuto trasferirsi e iniziare una nuova vita.
Una messinscena durata quasi un anno. Poi l’indagine era stata riaperta grazie a elementi forniti dai legali dei familiari della vittima. La donna aveva infatti registrato un audio quella notte di nascosto, con il proprio cellulare, cosa che faceva spesso visto le continue violenze e maltrattamenti subite dal suo compagno. Grazie a questa prova Zorzi era stato arrestato nel marzo del 2024.
I giudici hanno inviato gli atti del processo alla Procura Generale della Corte d’Appello di Venezia, per valutare se l’operato dei carabinieri di Abano e Montegrotto che indagarono sul caso. Erano in tutto mille le ore di registrazione agli atti del processo. In molti audio ascoltati, anche durante il dibattimento, insulti e minacce nei confronti della donna e delle figlie. Secondo quanto emerso durante il processo e sottolineando dalla pm il Codice rosso per Nicoleta Rotaru non fu mai attivato nonostante i carabinieri negli anni avessero effettuato numerosi accessi all’abitazione di Rotaru e Zorzi, né siano mai arrivate in Procura segnalazioni.
A far emergere che quella notte d’agosto la donna non si era suicidata, fu trovata a terra nel bagno, con una cintura di pelle stretta alla nuca, con solchi che sembravano compatibili con la cinghia, fu la determinazione delle avvocate Roberta Cerchiaro e Tatiana Veja, che invitarono i carabinieri a prendere lo smartphone della donna e ad analizzarne il contenuto. Nella registrazione si sente il diverbio sempre più furioso tra i due, in un crescendo di frasi offensive e umilianti, e poi i rumori inequivocabili di ansimi, di una lotta fisica, e la voce di Nicoleta sempre più flebile.
La madre e le sorelle di Nicoleta si sono costituite parte civile assieme alle due figlie di 14 e 10 anni, che ora si trovano in una struttura protetta, e delle associazioni Centro Veneto Progetti Donna e Dire-Donne in rete contro la violenza. A quest’ultima associazione viene riconosciuta una cifra di 15 mila euro che sarà utilizzata per formare operatrici e operatori dei centri antiviolenza. «Questo processo non avrebbe dovuto aver luogo. Nicoleta Rotaru aveva denunciato dieci volte e i carabinieri hanno metodicamente minimizzato i fatti» dichiara Aurora d’Agostino, avvocata penalista che ha rappresentato D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza. «Anche di fronte a reati perseguibili d’ufficio, le forze dell’ordine non hanno ritenuto importante procedere» continua d’Agostino «Questo processo rivela puntualmente tutto quello che ancora non funziona nel sistema antiviolenza: forze dell’ordine e servizi sociali senza competenze specifiche, che non hanno saputo riconoscere la violenza e che non hanno saputo proteggere questa donna; infatti, Nicoleta Rotaru ha cercato di difendersi da sola, anche registrando molte delle violenze subite da chi l’ha infine ammazzata» conclude.
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