Emma Pollock – Begging The Night To Take Hold
Il fastidio immenso che provo verso la stampa musicale inglese, ecco cosa mi ha fatto venire subito in mente il nuovo album di Emma Pollock. Fastidio che ho sempre avuto, sia chiaro, ma a tratti riaffiora prepotente quando vedo i fiumi di parole spesi per emeriti zozzoni e nemmeno una segnalazione per questa preziosa e prestigiosa artista che, evidentemente, non rientra sui radar “giusti”. Ed ovviamente è un peccato che sia così sottovalutata. Non solo per il suo passato, sia come cantante dei Delgados sia come solista (ricordiamo che ha inciso album per 4AD e ora esce per Chemikal Underground, non proprio le etichette più becere del globo), ma anche per l’ottimo presente, di cui “Begging The Night To Take Hold” è il nuovo sigillo.

In primis lasciatemi dire che è un piacere ritrovare Emma, ferma, musicalmente parlando al 2016 con l’album “In Search of Harperfield”. La sua voce così caratteristica, ricca di sfumature e passione mi mancava tantissimo. Ritrovarla qui capace di essere, ancora una volta, forte, accogliente, delicata e potente mi ha dato la pelle d’oca. Tanti anni di gestazione, un percorso personale non sempre privo di ostacoli e difficoltà (in primis la morte del padre e poi una diagnosi di autismo) che ha indicato la via per i testi di questo disco, mai così personali e profondi.
Il nuovo album è molto vicino a quello che potremmo definire “pop da camera”: archi e pianoforte in primo piano, ballate suggestive, ricche di passione, ma nello stesso tempo austere e rigorose sebbene anche pronte a cambiare, trovando un vigore inaspettato che spesso ribalta le carte in tavola (“Pages Of A Magazine” su tutte, mananche quel finale chitarristico in “Something Of A Summer”).
Non spinge mai in modo eccessivo sull’aspetto barocco la nostra Emma, c’è, certo, ma è gestito in modo da fermarsi sempre prima di risultare stucchevole; violoncello e piano sanno sempre dialogare alla perfezione, legati dal suo timbro così invitante e vulnerabile che sa anche trovare ganci melodici strabilianti (“Future Tree” o l’eleganza raffinatissima e invitante di “Jessie My Queen”).
Emma Pollock è tornata con un disco di rara sensibilità, che la vede impegnata in una non facile auto analisi, un guardarsi alle spalle, vivisezionando sè stessa e le ombre che l’hanno avvolta, per poi poter affrontare con più fierezza e speranza un futuro in cui le luci, ne siamo sicuri, non mancheranno. Un disco che sembra assolutamente personale ma che invece sa essere fortemente universale.
Bentornata cara Emma.
Source link




