Cultura

Emily A. Sprague – Cloud Time

Album di registrazioni dal vivo fatte dalla Sprague in Giappone nell’autunno 2024, “Cloud Time” è un altro bel progetto nella discografia ambient/minimalista della musicista di Catskill, NY, quando non impegnata con i Florist.

Credit: Carly Solether

Nonostante il genere ambient sia stato intuito, pensato e creato nel mondo anglofono di Eno, Harold Budd, Steve Roach (e molti altri), il Giappone ha dalla sua una grandissima scuola di compositori d’ambient e minimalismo: Hiroshi Yoshimura, Susumu Yokota, il tardo Sakamoto, giusto per citare dei veri maestri. E forse non è un caso: la musica ambient è musica che squarcia il tempo e lo dilata, lo neutralizza e lo distende, e in una società iperveloce e competitiva come quella del Giappone degli anni ’80 e ’90 (ricordando come il paese fosse in quegli anni una delle potenze economiche mondiali e forse la migliore in assoluto per crescita tecnologica e produttiva) una musica come questa divenne per alcuni una necessità. Ovviamente, e per fortuna, non copiarono le idee d’oltre oceano e basta, ma le rubarono quel giusto per poterci poi modellare sopra il proprio mondo. I lavori di Yoshimura, per esempio, non sono strettamente ambient nei termini che i primi lavori di Eno segnarono: composti di più elementi e diversificazioni, con minutaggi spesso ridotti. E per fare un altro collegamento tra il Giappone e questo genere pensiamo al fumetto: le opere di Jiro Taniguchi, come per esempio “L’Uomo Che Cammina” e “Furari”, di sottofondo non potrebbero avere altro genere che l’ambient. O ancora, si pensi a “Perfect Days” di Wim Wenders del 2023: non credo che il regista abbia scelto Tokyo a caso. Insomma credo che tra il Giappone e l’ambient ci sia un forte legame. E a quanto pare lo crede anche Emily A. Sprague, che sceglie come materiale per il nuovo “Cloud Time” delle registrazioni fatte dal vivo durante un tour in Giappone nell’autunno del 2024. Registrazioni improvvisate, come si sente per esempio in “Hokkaido” e “Tokyo 2″, e definite dalla newyorchese come la “sonic archeology from this journey” (“l’archeologia sonora del viaggio”), dalle parole che ha lasciato nei retro delle versioni fisiche del disco. “Tokyo 1″ parte con le atmosfere tipiche della Sprague, con suoni che sembrano giungere da strani animali di palude e un tappeto di synth su cui ci disegna altri voli sintetici, fino a un finale sfumato e sfocato. Un giro di synth all’incipit e alla fine  in “Matsumoto” sono divise da synth a muraglia. “Hokkaido” va più in profondità, è più pesante e buia, fino ai tanto amati synth, sconosciute lingue aliene, ad ammorbidire il tutto. La finale “Each Story”, canonica ma impossibile da non apprezzare se ti piace il genere. Questo “Cloud Time” è un buon proseguimento, un buon tassello nuovo da aggiungere alla già valida discografia da solista della Sprague, che anche quando non suona con i suoi Florist rimane del tutto valida.


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