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El Alamein: così il cemento seppellisce la nostra storia

C’è un silenzio, nel deserto di El Alamein, che non è mai vuoto. È un silenzio denso, abitato dai fantasmi di una delle battaglie più epiche della Seconda Guerra Mondiale. Pochi giorni fa, quel silenzio è stato rotto dal rombo di un C-130 egiziano e dalle voci di chi quella memoria la custodisce e la rinnova. In occasione dell’anniversario della battaglia, quaranta paracadutisti in congedo della Folgore, guidati da Walter Amatobene, si sono lanciati sulle postazioni storiche di Qaret El Himemat.

Ad assisterli, un gruppo di lettori e aspiranti reporter dell’Academy de “il Giornale”, un viaggio formativo guidato dall’inviato Gian Micalessin, che li ha portati dal campo di battaglia al Sacrario Militare Italiano per onorare i caduti. Ma mentre la memoria viene giustamente celebrata, una nuova minaccia, forse più insidiosa del tempo, avanza sul fronte opposto: non è un nemico armato, ma il cemento.

Oggi, infatti, al fragore delle armi si è sostituito il rombo dei bulldozer. Resort turistici, autostrade a 16 corsie e, soprattutto, la costruzione della futuristica “New Alamein City”, una metropoli da tre milioni di abitanti, rischiano di seppellire per sempre le tracce di quella storia. A questa avanzata dell’oblio si oppone una nuova missione, combattuta non con le armi, ma con la tecnologia, la passione e le pale.

È il Progetto El Alamein, un’impresa straordinaria che da oltre quindici anni vede fianco a fianco l’eccellenza accademica italiana e il cuore indomito del volontariato. L’obiettivo primario non è la celebrazione retorica, ma la salvaguardia concreta di un patrimonio storico minacciato. A guidare questa impresa è il professor Aldino Bondesan dell’Università di Padova, presidente della Società Italiana di Geografia e Geologia Militare.

È lui l’anima scientifica di un’operazione che ha trasformato lo studio dei campi di battaglia. Il suo team ha compiuto un lavoro certosino: incrociando immagini satellitari ad altissima risoluzione con le mappe militari e le foto aeree scattate dai ricognitori nel 1942, ha creato una mappa digitale di una precisione sbalorditiva. Un “fronte fantasma” di oltre 30.000 postazioni e trincee è stato così riportato alla luce. Ma la scienza, da sola, non basterebbe. A darle gambe e cuore è un esercito di volontari: centinaia di paracadutisti in congedo, soci dell’ANPdI (l’Associazione italiana Paracadutisti d’Italia), professionisti e semplici cittadini che, a proprie spese, partono per l’Egitto.

Un flusso inarrestabile di passione coordinato dallo stesso Walter Amatobene – l’organizzatore del lancio commemorativo – attraverso la testata online CongedatiFolgore.com. Sono loro che, sotto un sole implacabile, liberano le “buche” dalla sabbia del tempo. Dalla sabbia sono affiorati reperti commoventi: gavette, lettere mai spedite e persino le bottiglie molotov italiane usate per fermare i carri armati. Ogni oggetto viene catalogato e consegnato al Sacrario, lo stesso visitato dai partecipanti del viaggio de “il Giornale”.

Questo sforzo immenso si pone in diretta continuità spirituale con l’opera di Paolo Caccia Dominioni, l’eroe che nel dopoguerra dedicò la vita a recuperare e dare sepoltura a quasi 5.000 caduti. Se Caccia Dominioni salvò i corpi dall’oblio della sabbia, il Progetto El Alamein oggi salva l’anima dei luoghi dall’oblio del cemento. Il frutto più tangibile è la creazione del Parco Storico del Campo di Battaglia di El Alamein, un museo a cielo aperto. A segnare i punti cruciali degli scontri sono stati posati 82 cippi memoriali.

Ognuno di questi monoliti non è stato finanziato da fondi pubblici, ma dalle donazioni di singoli cittadini e associazioni (per informazioni: www.siggmi.it). La corsa contro il tempo, però, non è finita. La visita dei lettori de “il Giornale” e il lancio dei paracadutisti hanno riacceso i riflettori su questi luoghi.

L’obiettivo finale del progetto è trasformare il campo di battaglia in una meta di turismo culturale, per affermare un principio non negoziabile: la memoria dei nostri soldati non ha prezzo e non può essere cancellata. Non da ottant’anni di vento, e nemmeno da una colata di cemento.


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