Cultura

Edna Frau – Slow, Be Gentle I Am Virgin EP

Le atmosfere del nuovo EP degli Edna Frau sono oscure, oniriche, teatrali e tormentate. La loro è un’elettronica lunare, un suono che predilige muoversi nel buio profondo, nella notte degli incubi febbrili e delle veglie morbose, laddove le ombre smettono di essere proiezioni evanescenti, per assumere una consistenza viva, quasi carnale. Ombre bramose di divorare ogni nostra passione, ogni nostro progetto, ogni piccola e grande sicurezza sulla quale abbiamo edificato l’illusione di essere immortali ed indistruttibili, obbligandoci così ad un’esistenza fatta di attese eterne e di promesse che si dissolvono, come cenere, nel mare dark-rock delle nostre nostalgie e dei nostri rimorsi.

credit: Marco Parollo

Parallelamente, le loro trame elettroniche affondano le mani nell’ultima, caotica e dolente dimensione post-punk: quella degli imperi decadenti, degli ordini che si auto-distruggono e dei fuochi atomici che consumano ogni verità, ogni sentimento, ogni orizzonte, lasciandoci, soltanto, la vana illusione di poter trovare salvezza in qualche bunker sotterraneo, in qualche folle e sanguinario criminale travestito da uomo della divina provvidenza, o nell’inganno polveroso di una storia che abbiamo già vissuto, odiato, dimenticato e riscoperto — storia di vittime senza nome, di crudeltà gratuite, di sirene lugubri, di macerie e di rovine che, purtroppo, ci somigliano più di quanto vorremmo ammettere.

Eppure, in questo abisso, la band ravennate sa evocare anche una memoria collettiva; ci riporta agli anni Ottanta, ad un incrocio ipnotico, surreale e seducente di cieli plumbei, guerra fredda, incalzante e veritiero punk-rock e malinconici dance-floor, in un immenso e prezioso labirinto emotivo, nel quale si mescolano, in maniera attraente ed ammaliante, rock industriale, Berlino Est, i Bauhaus ed una rilettura dissonante, cinica, nichilista, eppure straordinariamente vitale della nostra bellicosa quotidianità. Tutto questo senza mai rinunciare ad una robusta e salutare dose di ironia, come se, anche nel buio più assoluto, un sorriso sincero, un suono obliquo, una parola disinteressata, una linea di basso, potessero ancora salvarci. Ogni cuore, nel frattempo, reclama i suoi spazi angusti, le sue vendette inutili, i suoi ritornelli tossici e le sue cattive scelte, perché, forse, solamente così, possiamo pensare di essere vivi e, nel frattempo, vaghiamo tra queste atmosfere elettroniche, abitandone i meandri più evocativi ed innestandoci i nostri ricordi e le nostre speranze, fino a ritrovarci in un futuro che nessuno ha mai immaginato, mai ascoltato, mai davvero cercato.

Come scrisse Dino Campana, instancabile pellegrino della notte, nei suoi “Notturni – Il Canto Della Tenebra”:

La luce del crepuscolo si attenua:
Inquieti spiriti sia dolce la tenebra
Al cuore che non ama più!

Sei canzoni da ascoltare con le luci spente, quando il mondo si ritira e restano soltanto le nostre rovine interiori a fare rumore.


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