Veneto

Ecco “I Leoni di San Marco”: da Venezia a Udine il potere della Serenissima


“Ovunque io posi il mio cappello, lì è la mia casa”, cantava Marvin Gaye: allo stesso modo. dovunque Venezia posasse un Leone di San Marco, quel luogo era dominio della Serenissima.

Udine ne sa qualcosa, visto che nella sola Piazza Libertà – la più veneziana delle piazze di terraferma – ne sono sopravvissuti tre, sfuggiti alla furia della cosiddetta “leontoclastìa”.

La posa del simbolo alato del santo protettore era infatti così sistematica e massiccia, che nelle zone che si liberarono dalla Dominante o caddero sotto altre sovranità, spesso poi prevalse la volontà di distruggere questi simboli di un potere indigesto.

Udine è, insieme a Vicenza, il luogo ove ne sono stati risparmiati di più: a dircelo è la penna raffinata ed elegante di Alessandro Marzo Magno che racconta la sua caccia a I Leoni di Venezia in un testo di godibilissima lettura che Biblioteca dell’Immagine ha fatto uscire in libreria per San Marco.

Si tratta di 170 pagine di agevole consultazione che in una sorta di “safari storico” ci fa esplorare tutti i luoghi dove l’egemonia veneta ha lasciato il segno.

L’autore rintraccia con precisione i leoni superstiti e ricostruisce anche l’opera di distruzione che soprattutto in epoca napoleonica (o nell’era titina, se ci riferiamo anche alle località istriane e dalmate) è stata perpetrata ai danni di queste icone dogali, la cui origine è più recente di quanto si crede.

Il primo leone di cui si ha notizia infatti è del 1261: Marzo Magno infatti ci racconta che nei secoli precedenti il santo veniva rappresentato con fattezze umane, ma la sua versione felina fu adottata solo dopo la perdita dei territori dell’Impero Latino d’Oriente che Venezia aveva conquistato con la Quarta Crociata nel 1204.

Da allora, però, è stato il vero “brand” della Serenissima, l’inconfondibile distintivo del primato della Repubblica, amato e odiato con la medesima intensità.

E rintracciabile tuttora in moltissime località dalla Lombardia a Creta, dal Peloponneso alla Dalmazia, dall’Istria a Cipro.

Se ne trovano persino a Zurigo, dove arrivarono in omaggio al contributo dei miliziani svizzeri nella Guerra di Gradisca (1615-1617), e a Varsavia, su un palazzo della città vecchia; campeggiano anche in Ucraina, in una residenza che si affaccia sulla piazza di Leopoli, ed anche in Russia, sul Mar d’Azov, alla foce del Don, dove la lapide del console veneto a Tana (oggi Novocerkassk) arriva a marcare la presenza marciana a 2800 chilometri da Venezia.

Il Friuli ne conserva parecchi: l’ultimo è stato rinvenuto nel 2020 a Valvasone, ma Marzo Magno ne censisce a Pordenone, a Sesto al Reghena, e ovviamente a Udine.

Sebbene la dominazione veneta su Trieste sia durata molto poco, se ne trovano anche qui: e sono bastati tredici mesi di dominio della Serenissima su Gorizia per far scolpire il leone che oggi si staglia all’ingresso del Castello, anche se prima si trovava altrove e fu posto lì solo dopo la conquista italiana nel 1919.

Il caso di Palmanova, poi, è estremamente eloquente: quando Napoleone la conquistò e ordinò di scalpellar via tutti i leoni dalla città, i palmarini stanchi delle vessazioni delle guarnigioni venete furono così zelanti che della miriade di esemplari presenti nella città stellata ne sopravvissero a malapena un paio.

La scrittura elegante e avvolgente di Marzo Magno, oltre alla vastità dei riferimenti e dell’apparato documentario, conferisce a questo libro il carattere di una mappa preziosa alla ricerca di una parte fondamentale del passato non solo di queste terre, ma dell’intero Mediterraneo.

Il gusto dell’aneddoto, mai fine a se stesso e sempre funzionale al racconto, rende così vivi questi leoni che sembra di tornare a sentirne il ruggito, quasi fossero pronti a spiegare di nuovo i loro artigli sulle terre che li videro imperare per secoli.


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