Politica

È una pulizia etnica, l’esercito appoggia i coloni. Si rischia la vita ogni giorno

“Qui ad At-Tuwani, in Cisgiordania, è in corso una pulizia etnica che viviamo tutti i giorni sulla pelle. Negli ultimi due anni abbiamo assistito a una totale connivenza tra la polizia, l’esercito israeliano e i coloni che abitano a poche decine di metri dal villaggio. Ogni giorno può accadere di tutto”. Quando Giordana, 31 anni, dice “di tutto” pensa agli ottanta metri di tubatura dell’acqua divelti un paio di settimane fa, ai coloni che entrano ad armi spianate nelle case dei palestinesi di giorno e di notte, alle pecore ammazzate, ai pastori picchiati. Ma soprattutto ad Awdah, un attivista di soli 31 anni con tre figli piccoli, ucciso nel paese accanto il 28 luglio scorso. Erano passati anni dall’ultima volta che qualcuno di quella zona era stato colpito a morte da un colono. Dal 7 ottobre 2023, inizio della guerra di Gaza, la tensione e il fiato sul collo dell’occupazione israeliana si tagliano con il coltello. Siamo nelle colline a sud di Hebron, a pochi chilometri a sud-est dalla città di Yatta. At-Tuwani è un villaggio che sembra un presepe: muretti in pietra, case sparse tra gli olivi, asini che vanno per la strada e poche auto. Fa parte della cosiddetta zonaC” degli accordi di Oslo, sotto controllo militare e civile israeliano: l’autorità palestinese qui non mette piede. Se accade un incidente o un omicidio, arrivano le forze dell’ordine del governo di Benjamin Netanyahu.

Giordana (nome di fantasia) fa parte di “Operazione Colomba”, il corpo nonviolento di pace dell’Associazione comunità Papa Giovanni XXIII. Da più di vent’anni l’organizzazione opera in Medio Oriente; durante la seconda Intifada i suoi attivista erano nella Striscia di Gaza, poi si sono spostati nella West Bank. Con Giordana in questo momento ci sono altri sei italiani, che per motivi di sicurezza preferiscono non essere identificati e nemmeno dire da quale città provengono. Sono ad At–Tuwani per proteggere, grazie a un passaporto europeo e i loro cellulari in grado di registrare ogni evento, i circa trecento palestinesi che vivono accanto all’insediamento di Ma’on e all’avamposto di Havat Ma’on, abitato dai coloni. I giovani italiani hanno una casa in pietra come quella dei palestinesi. Condividono con loro i momenti di festa e la tensione, “che in quest’ultimi mesi”, raccontano, “fa i conti con la consapevolezza che si rischia la vita ogni momento”. Non si sentono, nonostante sappiano di esserlo, diversi dal popolo palestinese perché devono resistere ai soprusi con loro. “Per andare da Betlemme ad At-Tuwani ci puoi mettere quaranta minuti o tre ore. Tutto dipende da quanti check point incontri, da quante volte vieni fermato”, spiegano.

Dal 7 ottobre 2023 la storia è cambiata, così come le esistenze di chi abita qui: “La frequenza degli attacchi è aumentata e ora i coloni hanno il pieno sostegno dell’esercito e della polizia israeliana. A molti di loro è stata data un’arma e una divisa, sono riconosciuti come soldati. Questa settimana dopo l’omicidio di Awdah sono stati arrestati 19 palestinesi che facevano parte della sua famiglia, torturati fisicamente e psicologicamente”. Mentre siamo al telefono, il nostro colloquio viene interrotto da una donna che chiede a Giordana di essere accompagnata da qualche parte. È la quotidianità, un’emergenza perenne che parte dal mattino, quando gli attivisti accompagnano i bambini palestinesi a scuola: “Anche in questi momenti sono cresciuti gli episodi di aggressione nei confronti dei ragazzi”. E ora che Gaza è stata rasa al suolo c’è sfiducia non solo nell’Autorità nazionale palestinese, ma soprattutto nella comunità internazionale: “La Striscia non è lontana da noi. La colonia e l’avamposto sono illegali secondo il diritto internazionale ma non accade nulla. Tutti tacciono”.


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