Società

È morto Giorgio Forattini, il vignettista ribelle

È morto a Milano Giorgio Forattini, a 94 anni. E con lui se ne va un pezzo di storia della satira italiana, quella che non aveva paura di guardare in faccia il potere e ridergli addosso. Per oltre trent’anni le sue vignette hanno accompagnato le pagine dei giornali, raccontando l’Italia più di mille editoriali: pungenti, intelligenti, spesso feroci, sempre riconoscibilissime.

Sulle sue tavole sono passati tutti: Andreotti, Craxi, Pertini, Spadolini, Berlinguer, Agnelli, il Papa. La Prima Repubblica vista da Forattini era una commedia umana di debolezze, arroganza e vanità, che lui restituiva al pubblico con un sorriso sornione e un tratto deciso. «Una vignetta può essere più efficace di un editoriale», si diceva di lui, e forse era vero.

Nato a Roma nel 1931, cresciuto in una famiglia borghese rigida, Forattini fu un ribelle per vocazione. Lasciò gli studi di Architettura, fece mille lavori – anche l’operaio e il rappresentante di commercio – prima di scoprire che la sua vera strada era quella dell’ironia disegnata. Aveva quarant’anni quando approdò a Paese Sera, giornale vicino alla sinistra, dove iniziò la sua carriera di vignettista. Da lì in poi, il successo fu rapido: la sua vignetta sul referendum sul divorzio del 1974, con Fanfani disegnato come un tappo di spumante espulso dalla bottiglia, divenne un piccolo caso nazionale.

Nel 1976 arrivò la chiamata di Eugenio Scalfari: Forattini partecipò alla nascita di la Repubblica e divenne una delle firme più riconoscibili del quotidiano. Era l’epoca in cui la politica si faceva nelle piazze e la satira aveva ancora il potere di ferire. Le sue vignette dividevano, facevano ridere o arrabbiare, ma mai restavano indifferenti. Nel 1977 disegnò Cossiga travestito da manifestante armato dopo gli scontri in cui morì Giorgiana Masi: una tavola che fece scandalo. E non risparmiò neanche i comunisti: Berlinguer in vestaglia, infastidito dai cortei operai, resta una delle immagini più taglienti della sua produzione.

Passò poi a La Stampa, dove le sue vignette arrivarono in prima pagina. E nel 1992 colpì ancora: la Sicilia trasformata nella testa di un coccodrillo dopo la strage di Capaci, un simbolo immediato della ferocia mafiosa e del dolore del Paese. Negli anni Novanta però i tempi cambiarono, e anche i giornali. Con Repubblica il rapporto si incrinò. La querela di Massimo D’Alema, allora presidente del Consiglio, per una vignetta legata alla lista Mitrokhin, fu la rottura definitiva. Forattini si sentì poco difeso e lasciò la testata nel 1999.

Da lì in poi collaborò con La Stampa, Panorama, Il Giornale, Il Resto del Carlino, La Nazione, Il Giorno. Ovunque andasse, portava la sua matita appuntita e un’irriverenza che non invecchiava. Persino Berlusconi finì nudo in una sua vignetta: troppo per la direzione del Giornale di allora. Lui non si scandalizzava: la sua regola era semplice, «non c’è potere che non possa essere messo in mutande».

Si calcola che nella sua carriera abbia realizzato circa 14mila vignette, raccolte in decine di volumi che hanno venduto oltre tre milioni e mezzo di copie. Numeri che raccontano la popolarità di un artista che, pur non essendo mai stato tenero, era amato dal pubblico per la sua lucidità. «Il forattinismo», disse una volta, «è la dissacrazione della politica. Intuivo il tallone d’Achille dei leader e lo trafiggevo con la mia matita».


Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »