Sardegna

È morto Gianni Berengo Gardin, il fotografo che ha raccontato l’Italia in bianco e nero

È morto all’età di 94 anni Gianni Berengo Gardin, uno dei più grandi maestri della fotografia italiana. Noto per i suoi reportage sociali e la sua predilezione per il bianco e nero, il fotografo è morto ieri, mercoledì 6 agosto. La sua scomparsa lascia un vuoto nel mondo della fotografia, che perde un narratore instancabile e un testimone attento della realtà, in tutte le sue principali declinazioni: società, architettura e ambiente.

CHI ERA GIANNI BERENGO GARDIN – Di una famiglia borghese, Berengo Gardin trascorre gli anni della gioventù tra la Svizzera, Roma e Venezia. La necessità di corredare i propri articoli per i giornali di immagini lo avvicina alla fotografia. È a Venezia, frequentando il circolo “La Gondola”, che la sua passione si trasforma in una vocazione. Entra in contatto con grandi nomi della fotografia italiana, come Paolo Monti e Fulvio Roiter, scopre l’importanza del reportage sociale, in particolare quello della “Farm Security Administration” e della rivista Life. Un “colpo di fulmine” che lo spinge a fare della fotografia un mestiere.
Tra il 1954 e il 1957, si trasferisce a Parigi, un’esperienza cruciale per la sua formazione. La mattina lavora in un albergo e dedica i pomeriggi a fotografare la città e a frequentare i circoli fotografici. Nella Ville lumiere conosce Robert Doisneau e Willy Ronis e matura la scelta stilistica che lo accompagnerà per tutta la vita: abbandona il formato quadrato della Rolleiflex in favore della più versatile Leica 35mm, lo strumento preferito dai grandi reporter come Henri Cartier-Bresson, che diventa un punto di riferimento fondamentale per il suo lavoro.

La Leica di Gianni Berengo Gardin (foto S.Novellu)

La Leica di Gianni Berengo Gardin (foto S.Novellu)

Tornato in Italia, inizia a collaborare con il prestigioso settimanale Il Mondo di Mario Pannunzio, dove lavora al fianco di fotografi del calibro di Ferdinando Scianna e Enzo Sellerio. Ma fu il trasferimento a Milano nel 1965, su consiglio dello storico dell’architettura Bruno Zevi, a segnare la svolta definitiva. Qui inizia una lunga e proficua collaborazione con il Touring Club Italiano, documentando città, regioni e paesaggi del nostro Paese e d’Europa.
Il suo impegno civile si manifesta in modo particolarmente potente nel 1969, quando, insieme alla fotografa Carla Cerati, realizza il reportage Morire di classe, all’interno degli ospedali psichiatrici. Le immagini, pubblicate nell’omonimo libro di Franco Basaglia, sono un pugno nello stomaco per l’opinione pubblica e contribuiscono in modo decisivo alla chiusura dei manicomi.
Berengo Gardin non ha mai fatto mistero del suo scetticismo verso le nuove tecnologie. Contrario al digitale, che considera “freddo e metallico”, ha sempre preferito la pellicola e la sua “morbidezza”. Ancora più ferma era la sua opposizione a Photoshop, che ritiene un’eresia per il reportage. Per lui, la fotografia dev’essere “vera”, una rappresentazione fedele di ciò che l’occhio del fotografo aveva visto. Non a caso, ha sempre apposto alle sue stampe un timbro con la dicitura: “Vera fotografia, non modificata né inventata con il photoshop”.
Nel corso della sua carriera, Berengo Gardin ha realizzato oltre 250 libri fotografici e le sue immagini sono state esposte in innumerevoli mostre in tutto il mondo, dal MoMA di New York al Musée de l’Élysée di Losanna. I numerosi riconoscimenti, tra cui il World Press Photo e il Premio Brassaï, testimoniano il valore e la portata del suo lavoro. La sua eredità non è solo un vastissimo archivio di immagini, ma un insegnamento morale ed etico: un invito a guardare il mondo con onestà, rispetto e curiosità, cogliendo l’essenza di un’epoca attraverso la lente della sua inseparabile Leica.

LA SARDEGNA – Nel 1968, per conto del Touring Club, un fotografo trascorre circa due mesi in Sardegna per un reportage destinato al volume “Attraverso l’Italia”. Il suo viaggio inizia a Porto Torres, dove documenta l’arrivo della nave e lo sbarco. Successivamente, si addentra nell’interno dell’isola, esplorando diverse regioni come la Barbagia, la Baronia, l’Ogliastra e il Campidano. Il suo lavoro si concentra sulla vita quotidiana delle comunità locali, catturando scene di lavoro nei campi, lezioni all’aperto, anziani in piazza e l’interno dei negozi. Ha inoltre immortalato la pesca a Olbia e a Cabras. Visita, inoltre, luoghi di grande interesse culturale, come la casa d’infanzia di Antonio Gramsci a Ghilarza e un vecchio manifesto che lo ritrae ad Ales, suo paese natale. A Bosa, invece, ritrae il quartiere medioevale di Sa Costa. Partecipa anche a importanti eventi locali come la Festa di Sant’Efisio a Cagliari e i festeggiamenti per San Francesco a Lula. Tornerà nell’Isola anche nel 1978, 1985, 2001 e, infine, 2006, per un lavoro sull’archeologia nuragica che sarà esposto a Cagliari a cura della Fondazione di Sardegna nella mostra In viaggio tra le architetture di pietra.


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