Due madri, sentenza della Consulta applicabile a tutti i giudizi pendenti
La sentenza della Consulta 68/2025, che ha cancellato la legge 40 per la parte che impedivala trascrizione della madre di intenzione, è applicabile a tutti i giudizi pendenti. Per i precedenti sarà necessario fare ricorso. Quanto ai giudici che hanno accolto – anticipando la Corte costituzionale – i ricorsi delle coppie composte da due donne devono rivedere le loro motivazioni (salvando il dispositivo) perché prima del verdetto non avevano il potere di farlo. La Cassazione, con la sentenza 15075 depositata ieri, respinge il ricorso del ministero dell’Interno contro il via libera della Corte d’appello alla trascrizione del nome della madre intenzionale di due bambini nati in Italia con il ricorso alla Pma in un paese in cui era lecita.
La posizione dei giudici territoriali
I giudici territoriali avevano ritenuto possibile un’interpretazione evolutiva della legge 40 /2004. In attesa di un intervento del legislatore avevano, infatti, considerato illogico e irragionevole consentire il riconoscimento al genitore intenzionale nei casi di violazione della legge 40 da parte di coppie eterosessuali o, ancora, nei casi consentiti di Pma eterologa per le coppie eterosessuali, e negarlo nel caso del genitore intenzionale di coppia omosessuale.
L’orientamento della Cassazione
La Suprema corte, pur confermando la decisione raggiunta, alla luce dell’intervento della Consulta, invita la Corte d’appello a rivedere la motivazione, sulla scia della sentenza numero 68. E questo perché «il giudice ordinario non poteva, da solo, porre rimedio al riscontrato vuoto di tutela dell’interesse del minore, anche perché, con la citata sentenza numero 32 del 2021, la Corte costituzionale aveva attirato, su questa materia eticamente sensibile, l’attenzione del legislatore, perché esso individuasse un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana». Per i giudici di legittimità c’è stata dunque un’invasione nel campo del legislatore.
Nell’inerzia del Parlamento è intervenuta la Corte costituzionale, la sola titolata a farlo, per eliminare una norma in contrasto con la Carta. Quello che i giudici avrebbero dovuto fare è sollevare un incidente di costituzionalità consegnando le chiavi del giudizio alla Consulta. Una interpretazione incompatibile con la legge non è, infatti, consentita «perché sostituirebbe inammissibilmente la volontà del giudice a quella del legislatore democraticamente legittimato». Considerazioni che portano la Cassazione a escludere «in punto di diritto» la praticabilità del percorso motivazionale seguito dalla sentenza della Corte d’appello, impugnata dal ministero dell’Interno, anche se scritta dopo il monito al legislatore espresso dalla Corte costituzionale con la sentenza 32/2021.
Priorità all’interesse del minore
Monito che la Cassazione rinnova anche dopo la sentenza numero 68 del 22 maggio scorso. L’esigenza di salvaguardia del primario interesse del minore, in sintonia con la giurisprudenza delle Corti europee, imponeva e impone – sottolinea la Corte – «un urgente ripensamento del quadro normativo vigente, rendendo impellente un intervento del legislatore volto a colmare il divario tra la realtà fattuale e quella legale nel rapporto del minore con la madre intenzionale». La Suprema corte respinge il ricorso del Viminale, ma chiede la correzione «in diritto della motivazione del decreto della Corte d’appello, il cui dispositivo è retto e sostenuto dalla pronuncia di illegittimità costituzionale (sentenza n. 68 del 2025)».
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