Società

Dormire fuori a 11 anni?” Sui social è dibattito acceso tra esperti e famiglie. Interviene il pedagogista: “Attaccamento eccessivo, estate occasione di autonomia

Parere netto da parte di Daniele Novara, noto pedagogista: il rifiuto, a 11 anni, di partecipare a campi estivi o dormire fuori casa, “nemmeno dai nonni”, è indice di un attaccamento eccessivo, non più funzionale alla crescita autonoma del preadolescente.

Citando la “mitica zia” come figura educativa oggi meno presente, Novara inquadra l’argomento nel passaggio simbolico dal “nido materno” a una fase successiva, in cui la capacità di “gestire bene l’allontanamento” diventa parte della qualità della relazione educativa familiare.

L’indicazione è operativa: usare l’estate come palestra di esperienze “proposte dai genitori” e coerenti con valori e obiettivi formativi, per “vivere avventure con coraggio”. Chiusura lapidaria: “Incominciamo a mollarli. In questo modo l’estate può diventare una grande occasione.”

Le reazioni: tempi individuali e critica alla “forzatura”

Nei commenti dei lettori emergono posizioni divergenti. Da un lato, chi contesta l’idea di obbligare i bambini “solo per dare soddisfazione alla zia” o alimentare l’industria dei campi estivi, rivendicando l’ascolto dell’istinto genitoriale. Dall’altro, chi richiama la varietà di caratteri e temperamenti: rispetto dei tempi individuali, incoraggiamento alla socialità senza etichettare come “patologico” ciò che può essere semplice timidezza o introversione.

Viene portata anche l’esperienza personale: nessun pernottamento fuori casa fino alle scuole medie, prime gite scolastiche affrontate serenamente a 15 anni, e sviluppo di una piena autonomia senza passaggi anticipati.  Un filone intermedio sottolinea che a 11 anni si entra nella pre-adolescenza: la resistenza a dormire fuori può segnalare un disagio o un attaccamento non sicuro, soprattutto se associata al rifiuto di altre esperienze lontano dai genitori; non un’imposizione, ma un invito a comprendere il motivo di fondo.

La frattura culturale: indipendenza, ruoli educativi e convergenza sul paterno

Dal confronto si staglia una frattura culturale: valorizzazione dell’indipendenza come traguardo da allenare versus tutela dei ritmi evolutivi come principio guida.

Diversi lettori notano una tendenza, nei commenti maschili, a sostenere l’incoraggiamento all’autonomia e, in quelli femminili, a difendere la formula “ogni bimbo ha i suoi tempi”. Risuona così una tesi cara a Novara: preadolescenza e adolescenza come “momento del padre”, fase in cui diventa decisiva la convergenza educativa sul paterno nel promuovere separazione, esplorazione e responsabilità.

Nessuna “età obbligatoria”, ma una soglia: se il rifiuto del pernottamento si affianca alla difficoltà di vivere esperienze senza i genitori, serve un’azione educativa intenzionale, capace di coniugare presenza e lasciare andare, affinché le notti fuori casa – dai nonni o in campeggio – diventino progressivamente un passaggio naturale e non una forzatura.


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