Economia

Dopo acciaio e alluminio Trump pensa all’Ue: dazi reciproci con Bruxelles. “Nessuna eccezione”

NEW YORK — “Questo è l’inizio per fare l’America di nuovo ricca”. Così Donald Trump ha presentato i dazi del 25%, imposti ieri su tutte le importazioni di acciaio e alluminio negli Usa. Quindi, quasi con orgoglio, ha aggiunto: “Nessuna eccezione, niente”, neanche per gli alleati storici più stretti degli Stati Uniti. L’inizio di una nuova fase nella strategia delle tariffe, che punta insieme ad arricchire l’America e punire i suoi rivali, anche al costo di provocare una guerra commerciale globale.

Nel 2024 il principale esportatore di acciaio negli Usa è stato il Canada, con 11,2 miliardi di dollari, seguito dal Messico con 6,5 miliardi, Brasile e Cina con 5,2, e Taiwan con 3,8 miliardi. Per l’alluminio il leader è ancora il Canada, con forniture per 9,5 miliardi di dollari vendute oltre il confine meridionale, seguito dagli Emirati Arabi Uniti con 1,2 miliardi, e poi Messico con 686,2 milioni, Corea del Sud con 643,7 e Cina 507,8 milioni. L’Europa quindi non figura tra le regioni più colpite.

Anche la Repubblica popolare non è in testa alla graduatoria, in parte per l’effetto dei dazi che Trump aveva già imposto durante il primo mandato e Biden aveva lasciato almeno in parte in vigore. La Cina vende i suoi prodotti soprattutto sul mercato interno, e li invia a basso costo in altri paesi, che poi invece esportano i propri metalli più costosi negli Usa.

Il settore metallurgico degli Stati Uniti applaude l’iniziativa di Trump. Secondo Kevin Dempsey, presidente dell’American Iron and Steel Institute, dimostra “l’impegno per una forte industria dell’acciaio, essenziale per la sicurezza nazionale e la prosperità del paese”.

Le cose in realtà non stanno esattamente così, almeno secondo uno studio pubblicato dall’International Trade Commission. Le tariffe hanno fatto salire i prezzi delle importazioni e quindi hanno incoraggiato i consumi interni. L’industria americana dei metalli ha effettivamente aumentato la produzione di acciaio e alluminio per 2,25 miliardi di dollari nel corso del 2021, primo anno dopo la fine del mandato iniziale di Trump. I costi più alti però hanno ridotto l’attività delle aziende che usano questi metalli per realizzare altri beni, per 3,48 miliardi, quindi con una perdita complessiva di oltre 1,2 miliardi di dollari. Al capo della Casa Bianca però questi conti non interessano, perché ama i dazi in generale e cerca il consenso degli operai metallurgici. Non a caso dopo che il predecessore Biden aveva bloccato la vendita dell’azienda US Steel ai giapponesi di Nippon Steel, lui ha confermato il divieto, favorendo però un significativo investimento di Tokyo che non comporta l’acquisto della compagnia.

Secondo Trump esistono due generi di dazi: quelli punitivi, che sanzionano comportamenti come l’apertura delle frontiere al traffico di fentanyl o all’immigrazione illegale, e strutturali, che invece riguardano le politiche di lungo termine. L’Europa rientra in questa seconda categoria, e quindi l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Robert O’Brien avverte che è destinata alla “guerra commerciale”. Lo scontro potrebbe iniziare tra oggi e domani, quando il capo della Casa Bianca dovrebbe annunciare i dazi reciproci. Invece di puntare su tariffe a tappeto del 10 o 20%, come aveva minacciato in campagna elettorale, si sta orientando su questa strategia. Prevede dazi contro chi li impone già agli Usa, in modo da cancellarli o pareggiare il conto. Nel caso dell’Europa, però, c’è anche la spinosa questione di regole e multe comminate alle grandi aziende tecnologiche tipo Google. Trump le considera tasse riscosse dalle compagnie americane, che semmai dovrebbero pagarle a Washington. Perciò è determinato a vendicarsi o costringere Bruxelles a cambiare linea. La Ue però ha pronte le sue risposte, tipo i dazi del 25% sul whiskey americano, che finora sono stati congelati grazie ad un accordo bilaterale, ma se non verrà rinnovato saliranno al 50% il primo aprile.

Da quando è in carica, Trump ha imposto tariffe del 10% alla Cina e del 25% a Messico e Canada, prima minacciate e poi sospese. Pechino ha già risposto con dazi del 15% sui prodotti energetici Usa e 10% su quelli agricoli. Una scelta di moderazione, che però anticipa la disponibilità a scatenare una guerra commerciale, se il capo della Casa Bianca non si fermerà.


Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »