Donald vuole ridisegnare i collegi elettorali. Deputati dem in fuga, il Texas vuole l’arresto
La parola chiave per comprendere la vicenda è “Gerrymandering”, sintesi in inglese del cognome del suo ideatore e della parola “salamandra”. Secondo il dizionario Merriam-Webster è “la pratica di dividere o organizzare un’unità territoriale in distretti elettorali in modo da dare a un partito politico un vantaggio ingiusto nelle elezioni”. Ad inventarla Elbridge Gerry, uno dei padri fondatori, ex vicepresidente Usa, che da governatore del Massachusetts nel 1812 firmò una legge che istituiva nell’area di Boston un distretto elettorale disegnato a proprio vantaggio, dalla forma appunto di una salamandra. Una tradizione dalla radici antiche, insomma. In sintesi, il “gerrymandering” è il motivo per cui la mappa elettorale degli Stati Uniti è in gran parte bloccata, con Stati saldamente Red (Repubblicani) e Blu (Democratici). A parte una manciata di seggi “competitivi”, ai candidati basta vincere le rispettive primarie e l’elezione è assicurata. Una pratica che a parole tutti considerano anti democratica, ma dalla quale entrambi i partiti traggono da sempre vantaggio. Da prassi, le mappe vengono disegnate ogni 10 anni, dopo il censimento che si svolge su scala nazionale. Il prossimo è in programma per il 2030.
A rompere la tradizione, come spesso accade, è stato Donald Trump. In vista delle elezioni di midterm del prossimo anno, il tycoon non intende correre rischi. La sua maggioranza alla Camera è traballante (attualmente 220-213, con due seggi vacanti). Storicamente, i presidenti in carica vengono puniti nel voto di medio termine. La perdita della Camera azzopperebbe irrimediabilmente la seconda metà della sua presidenza: i Democratici lo bombarderebbero di inchieste, col rischio anche di un nuovo impeachment (sarebbe il terzo). Per questo, il presidente ha ordinato al governatore del Texas Greg Abbott di ridisegnare anzitempo – “mid-decade”, altra parola chiave – una nuova mappa elettorale nel più rosso tra i “Red States”. Secondo i calcoli, i Repubblicani ne potrebbero ricavare cinque seggi sicuri in più (attualmente ne controllano 25 su 38), a discapito dei Dem. Abbastanza, forse, per superare lo scoglio midterm.
La reazione dei Democratici è stata furiosa. L’approvazione della nuova mappa elettorale spetta all’assemblea dello Stato, saldamente controllata dai Repubblicani, che però hanno bisogno della presenza dei colleghi Dem per il quorum necessario. E così, con una mossa “aventiniana”, oltre 50 deputati di opposizione sono “fuggiti” in Stati “amici”, come l’Illinois e New York, per bloccare il voto. Il governatore Abbott ha imposto multe di 500 dollari al giorno, ordinato l’arresto dei fuggitivi e la loro presenza coatta in aula, ma la polizia del Texas non ha alcuna giurisdizione al di fuori dei confini statali. Per ora, il braccio di ferro continua. La mossa di Trump, che martedì ha ribadito che “in Texas abbiamo diritto ad altri cinque seggi”, ha però innescato anche un’altra reazione. A suggerirla per primo, il governatore democratico della California (Stato Blu), Gary Newsom, sempre più ansioso di posizionarsi come anti-Trump e candidato alla presidenza per il 2028: “Faremo altrettanto”. Finora è una minaccia.
“Dipende dal Texas”, ha detto Newsom, a cui hanno fatto eco i governatori dem di Illinois, JB Pritzker, e New York, Kathy Hochul. Il rischio per l’America, a meno di un anno e mezzo da un voto che sarà più che mai un referendum su Trump, è un effetto domino che polarizzerebbe ancora di più il Paese.
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