Economia

Diversity Ark, l’arca della biodiversità

Trappole per insetti a base di aceto e sale; misurazione dell’inerbimento per metro quadrato, valutazione della presenza di lombrichi e coccinelle: non siamo nella vigna dei nonni, ma tra i filari con gli esperti di Diversity Ark che valutano la salute del terreno secondo l’utilizzo di un metodo scientifico attraverso analisi condotte in laboratorio, ma soprattutto sul ampo. Diversity Ark è un richiamo all’Arca di Noè, all’idea di raccogliere insieme tutto quanto possa salvaguardare le biodiversità. “Il primo esempio positivo di salvataggio per tutte la specie viventi, uomini e animali, e nel nostro caso anche di piante. Diversity invece sta ad indicare il bisogno di vari elementi nell’ecosistema; perché la vita continui a fare il proprio corso è necessaria la sopravvivenza di tutti, ogni organismo è indispensabile per l’equilibrio e la vita di tutti gli altri”, spiega Stefano Amadeo, fondatore insieme a Stefano Zaninotti di Diversity Ark, con Luigi Vignaduzzi, amministratore unico. Tre soci uniti da una visione olistica dell’agricoltura, cioè la consapevolezza che ogni intervento effettuato in questo ambito si ripercuote inevitabilmente sull’intero ambiente e sulla salute dell’uomo.

Lo sfruttamento del terreno, delle piante e delle sue risorse allo scopo di massimizzare la produttività è una visione miope che non è destinata a far progredire davvero l’umanità e l’ambiente in cui vive”, spiegano. “Abbiamo voluto fornire agli agricoltori delle linee guida che li aiutassero a prendere decisioni gestionali e operative che non danneggiano l’ambiente e non mettono a rischio la grande ricchezza della natura”.

“Sono orgoglioso di vantare questo marchio sulle mie bottiglie”, racconta Davide Luisa, titolare insieme al fratello Michele di Tenuta Luisa, in quel di Corona, piccola frazione del comune di Mariano del Friuli (GO), nel cuore della DOC Isonzo; conta oggi 110 ettari coltivati a vite, tutti di proprietà da cinque generazioni. Lo segue Roberto Princic, titolare di Gradis’ciutta, San Floriano (Collio): “E’ quello che non ci metto nei mei vini che li fa diversi”, racconta con tono un poco ironico. Due tra le nove aziende vitivinicole che hanno ottenuto finora la certificazione, otto italiane e una croata che hanno concluso l’iter e ottenuto la nuova certificazione Diversity Ark. Quattro in Friuli Venezia Giulia: oltre Tenuta Luisa e Gradis’ciutta, abbiamo Agricola Meroi, di Buttrio, Colli Orientali del Friuli, e Tenuta Stella di Dolegna del Collio; poi Azienda Agricola Inama di Inama Stefano e Giuseppe, in Veneto;Le Piane Boca (Piemonte), La Torre alle Tolfe (Toscana), Vecchie Terre di Montefili (Toscana), Vinarija Kozlovi? (Croazia).Ultimamente si è aggiunto anche un uliveto.

Il modello di certificazione ha ottenuto la registrazione in Italia a dicembre 2022 e a livello europeo a febbraio 2023. Nel 2023 si è perfezionata la registrazione presso gli uffici UIBM (Ufficio Italiano Brevetti Marchi) a cui ha fatto seguito la registrazione anche presso l’EUIPO (Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale): Diversity Ark è quindi un marchio pienamente riconosciuto in tutti i paesi dell’Unione Europea e da ottobre 2024 anche in Gran Bretagna, con l’impegno di ottenere analoghi riconoscimenti da altri stati come ad esempio Canada, USA, Norvegia, Svizzera e Giappone.

Le aziende a cui ci si rivolge Diversity Ark possono anche non avere alcuna certificazione; viceversa possono essere aziende già certificate Bio oppure dotate di altre certificazioni ambientali; ciò che conta è che siamo evolute sul fronte della sensibilità ambientale.

Il principio base e che deve essere rispettato dalle aziende che richiedono la certificazione, è che per valutare la vitalità e la potenzialità del vigneto sia necessaria l’analisi di tre macro-aree: il suolo, la presenza di insetti e lo stato della vegetazione. Le analisi vengono condotte applicando un metodo scientifico che misura alcuni indicatori, pensati per vincolare l’azienda al rispetto di pratiche agronomiche e gestionali che rispettino la biodiversità e la salute dell’ambiente e dell’uomo.

L’azienda che richiede la certificazione deve assumere l’impegno di permettere i controlli sulla biodiversità; devono essere adottate forme di monitoraggio in campo, applicate strategie integrate o biologiche, utilizzati modelli previsionali o stazioni di rilevamento

di dati climatici.

Grande attenzione dedica il disciplinare al divieto di prodotti fitosanitari o fertilizzanti nocivi, come pure agrofarmaci con azione erbicida; altro aspetto che contraddistingue il modello è l’attenzione alle microplastiche presenti nel vigneto, che vengono misurate attraverso un attento riscontro empirico in campo. Se le verifiche vengono svolte principalmente nell’appezzamento oggetto di certificazione, non viene trascurato il contesto vegetazionale, vale a dire lo status dell’ambiente circostante il vigneto; il che significa valutare il contesto naturale in cui esso è inserito ma, anche e soprattutto, il tipo di cura che viene posta da parte dell’azienda certificata per migliorare detto contesto.

Alla base di tutto deve esserci un’acquisizione di conoscenza e di consapevolezza: coloro che vogliono aderire al modello devono svolgere almeno due eventi formativi l’anno, su argomenti agro-ecologici. “Non vogliamo impartire nozioni, ma desideriamo che le persone sviluppino una consapevolezza e una sensibilità alla tematica ambientale che può anche uscire dal proprio circoscritto raggio di azione. Abbiamo organizzato, ad esempio, un corso sull’importanza degli alberi monumentali per la tutela naturale, storica e paesaggistica, come pure un corso tenuto da un biologo marino sulla percezione del cambiamento climatico nelle acque. Valutiamo anche corsi che vengono proposti dalle stesse aziende certificate, se ritenuti funzionali alle finalità del modello. Il nostro statuto prevede, inoltre, che almeno il 5 % dell’utile derivante dalla certificazione e dalle attività svolte dalla società detentrice del marchio venga destinato ad opere benefiche e di supporto a progetti di sviluppo agricolo sostenibile”.

Dai dati ottenuti attraverso la meticolosa valutazione che è stata realizzata e che considera 10 indicatori essenziali per determinare la salute del suolo e delle colture, emerge un quadro estremamente positivo: “Questi indicatori – afferma Stefano Zaninotti – che spaziano dal contenuto di sostanza organica al bilancio tra predatori e prede, fino alla presenza di plastica nell’ambiente, costituiscono la base del nostro sistema unico e all’avanguardia per l’analisi dell’agroecosistema. Siamo lieti di constatare che tutti i vigneti esaminati hanno ottenuto valutazioni agroecologiche elevate, con punteggi che partono da un minimo di 68 su 100. Questo è un chiaro segnale di qualità e impegno verso la sostenibilità. Inoltre, abbiamo osservato una notevole varietà di impollinatori e un’equilibrata dinamica predatore-preda in tutti i vigneti, sintomo di un ambiente in salute. Un altro aspetto degno di nota è l’assenza quasi totale di plastica, che testimonia l’impegno concreto delle nostre aziende nella riduzione dell’impatto ambientale dei materiali utilizzati”.


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