Discarica, così è crollato il sistema di Marche Multiservizi. Il sindaco di Fano Serfilippi: «Noi, il futuro»
PESARO È il terzo rilevante stop alle politiche industriali, pianificate o solo teorizzate, di Marche Multiservizi. Il più clamoroso dopo quello eclatante ma atteso della bocciatura della maxi discarica di Riceci e quello autoprodotto del biodigestore, generato da econcentivi che non garantivano più la lucrosa operazione progettata. L’esito, di venerdì scorso, dell’Assemblea territoriale d’ambito sulle osservazioni al piano regionale di gestione dei rifiuti costituisce per Pesaro un inaudito fatto politico.
L’isolamento del sindaco Biancani, rimasto solo (con la significativa astensione del sindaco di Urbino Gambini) a sostenere la sua osservazione sulla distanza caso per caso dalle abitazioni per le nuove discariche, dopo lo stralcio corale voluto dal centrodestra della proposta per ridurre a 500 metri la fascia di rispetto (passata nel nuovo piano da 2.000 metri a 1.500), ha dimostrato plasticamente la disgregazione di un sistema di relazioni politiche. Una rete che per 22 anni ha garantito l’azienda pesarese dei servizi e, in particolare, il suo amministratore delegato Tiviroli, defilato sì sul piano pubblico ma fattivo e tenace ispiratore degli amministratori locali.
Il tetto per i rifiuti industriali
L’incrocio tra l’osservazione 14 sulla distanza e la 9 sull’eliminazione del tetto per il conferimento dei rifiuti industriali in discarica pari al 30% degli urbani, infatti, assicurava un potenziale business su misura per Marche Multiservizi, riciclando il progetto di Riceci. Sulla scia dell’assessore regionale all’ambiente Aguzzi, a contrastare in assemblea la narrazione di Biancani (condivisa da Paolini, presidente di Provincia e Ata, con il sostegno esterno per il Pd di Morani e Ceriscioli e quello dentro il centrodestra di Gambini), è intervenuto Luca Serfilippi, sindaco di Fano, per dire che «un’emergenza vera per smaltire i rifiuti urbani non c’è, l’esigenza di individuare nuove discariche è fuori luogo perché il piano regionale prevede gli ampliamenti dei siti esistenti e l’Ata aveva già pianificato quello di Monteschiantello a Fano (unico impianto per la provincia, ndr). So benissimo che a San Costanzo non sono d’accordo, ma questa opzione esiste».
«Ora scelte condivise»
Aset dispone già di uno studio di fattibilità. Al contrario il problema per Mms è che Tavullia non vuole l’ampliamento di Ca’ Asprete (tanto più che Tiviroli sul punto ha dato la sua parola). Perciò, per trovare un nuovo sito si trattava di eliminare nel nuovo piano regionale la priorità data agli ampliamenti e la distanza di 1.500 metri dalle aree residenziali nonché di togliere il tetto per i rifiuti industriali perché è con quelli che si fa cassa. Secondo le esperienze delle discariche di Ca’ Asprete e Ca’ Lucio (già chiusa), dove dal 2015 al 2021 (dati Ata) in barba al limite della Regione (ora al 50% degli urbani) sono stati conferiti rifiuti produttivi pari, nell’ordine, al 110% e al 75,8%. Sul punto è passato l’emendamento di Serfilippi per chiedere di mantenere il 50% al fine di abbattere la Tari nella ripartizione dei costi fissi dell’impianto.
Il giorno dopo, il sindaco della Lega rilancia. «Fano e le due vallate Cesano e Metauro – afferma – hanno finalmente rialzato la testa, dopo anni in cui Pesaro decideva tutto e gli altri dovevano adeguarsi. Grazie alla collaborazione tra sindaci di centrodestra, civici e parte del Pd stiamo finalmente prendendo in mano il futuro della nostra provincia. È il momento di fare scelte importanti, ma condivise e non decise in una stanza a Pesaro. Il tempo dell’arroganza è finito». Sull’ampliamento di Monteschiantello Serfilippi invita a correre per evitare un’emergenza reale tra qualche anno. «Questo sarebbe stato evitabile – rileva – con una strategia lungimirante già anni fa, senza rincorrere fusioni imposte tra Aset e Marche Multiservizi».
I fatti riportati
Infine, le critiche di Paolini, Gambini e Biancani in assemblea ai giornalisti (capro espiatorio sempre buono soprattutto quando i politici fanno brutte figure) accusati di riportare fatti che non conoscono. Paolini, in particolare, ha affermato che non si è contraddetto con la lettera inviata alla Regione in cui ha chiesto il ripristino dei 2.000 metri, eppure nell’intervista di pochi giorni prima al Corriere Adriatico non ha risposto alla domanda – se avrebbe votato no all’osservazione sui 500 metri – ritenendola buona per fare polemica. Inoltre, è dal verbale del comitato dei sindaci che risulta come Gambini abbia proposto di ridurre le distanze minime, salvo poi acquattarsi dietro l’istanza del centrodestra per stralciare il punto, così come da lì emerge che il capo di gabinetto di Biancani ha voluto la verifica delle distanze nelle regioni limitrofe con il sindaco che appena due giorni dopo ha portato i 500 metri in maggioranza.
Le manine degli esecutori
Certamente, le manine politiche sono quelle degli esecutori più zelanti e in quella di Biancani più che il cerino è rimasto (nonostante il Natale alle porte) il cerone pasquale, quello della rinascita che gli alleati di Sinistra italiana e Verdi chiedono nell’imminente scadenza (gennaio 2025) dei patti parasociali tra Marche Multiservizi e il Comune di Pesaro. La richiesta riguarda il rispetto del programma elettorale che prevede di «avviare un processo volto a rendere di nuovo pubblico il ciclo dell’acqua e dei rifiuti», quindi con l’uscita del partner industriale Hera.