Umbria

Diffamazione su Facebook, condannata a un anno di reclusione, l’influencer di Gualdo Tadino fa appello “Mio profilo hackerato”

È destinata a proseguire in appello la vicenda giudiziaria che vede protagonista una influencer 40enne di Gualdo Tadino, condannata in primo grado dal Tribunale di Perugia per diffamazione aggravata a mezzo social network.

Il giudice monocratico Loretta Internò ha inflitto all’imputata un anno di reclusione (pena sospesa) e il pagamento delle spese processuali per aver pubblicato, tra il 4 e il 6 ottobre 2019, una serie di commenti offensivi sul profilo Facebook di un’altra donna, ritenuti lesivi della sua reputazione.

Oltre alla pena detentiva, l’influencer è stata condannata al risarcimento dei danni alla parte civile, da quantificarsi in separata sede, e al versamento di 3.000 euro per le spese legali sostenute dalla stessa, oltre oneri di legge.

Le frasi contestate

Secondo l’accusa, dai commenti – esplicitamente volgari e sessualmente allusivi – pubblicati sotto alcuni post della vittima, facendo emergere la volontà di denigrare pubblicamente la donna, attraverso frasi come “ma almeno li fa i b…?”, oppure “succhia piano o forte col morso inverso? Me l’ho sempre chiesto come facciano a fare i b… quelle col morso inverso”, ancora “dopotutto volevo solo sapere come fai i bocchini, non bloccarmi please” e “tu l’hai aggiornate di quanto sei tr…”.

La linea difensiva: “Non sono stata io, il mio profilo era stato hackerato”

L’imputata, sin dall’inizio, ha sempre negato di aver scritto i commenti, sostenendo che il suo profilo social fosse stato compromesso da un attacco hacker, denunciando di aver già subito in passato intrusioni informatiche nel suo account Instagram, usato per attività lavorativa, ma risultato hackerato e utilizzato per attività sospette. Il suo blog personale sarebbe stato collegato a un sito pornografico e la stessa influencer avrebbe ricevuto comunicazioni ufficiali da un brand con il quale stava lavorando, riguardo a una compromissione dei dati dei clienti.

Secondo l’avvocato Gianni Dionigi, che difende l’imputata, la documentazione relativa a questi episodi sarebbe stata prodotta in giudizio, ma il giudice non ne avrebbe tenuto conto.

Critiche alla sentenza di primo grado

Nell’atto di appello si sottolinea, quindi, come il giudice abbia ritenuto irrilevante l’hackeraggio dell’account Instagram, poiché non collegato direttamente a Facebook; non siano state effettuate indagini tecniche, come il tracciamento dell’indirizzo IP dei commenti; la condanna si basi principalmente sugli screenshot forniti dalla persona offesa e sulle stesse dichiarazioni della influencer, interpretate come segno di gelosia nei confronti del fidanzato.

La difesa contesta questa ricostruzione, sostenendo che chiunque conoscesse le relazioni sentimentali pregresse tra la parte civile e il compagno dell’imputata avrebbe potuto scrivere i commenti con l’intento di danneggiare la reputazione dell’imputata.

Le richieste in appello

Da qui la richiesta ai giudici della Corte d’appello di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché non lo ha commesso e in subordine, assoluzione per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova. Secondo la difesa, non esiste un quadro probatorio “grave, preciso e concordante” in grado di sostenere la condanna oltre ogni ragionevole dubbio.

Avvocato Gianni Dionigi-2


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