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Diego Lenzi, una speranza supermassima per la boxe italiana

Nella disastrosa, a livello pugilistico, Olimpiade parigina, l’unico azzurro ad essersi distinto con delle prestazioni di valore è stato Diego Lenzi, il quale, partito come outsider, ha mancato per poco la medaglia di bronzo. Ora Lenzi, a 23 anni, passerà professionista, senza abbandonare il dilettantismo perché il sogno è di vincere l’oro a Los Angeles 2028. Il peso supermassimo esordirà domenica 15 dicembre al Centro Pavesi di Milano, lanciando una serie di appuntamenti che prende il nome di “Road To Taf“, nata da un’idea del giovane organizzatore e manager Edoardo Germani. L’italiano affronterà il serbo Georgija Stanisavljev. Prima del suo match sul ring saliranno altre giovani promesse del pugilato nostrano. Ma gli occhi degli appassionati e degli addetti ai lavori saranno tutti su di Diego Lenzi. La boxe italiana ha bisogno di un peso massimo (nei pro non esiste la categoria superiore) che faccia sognare sul ring e fuori, perché il ragazzo ha tutte le caratteristiche per diventare anche un personaggio mediatico.

Lenzi, viene da un argento nelle World Boxing Cup Finals di Sheffield.
“Mi aspettavo di vincere, anzi secondo me il match l’avevo vinto, ma tra i dilettanti il record non conta troppo, contano invece i tornei importanti. In questo caso ho constatato a che punto è la preparazione. Va bene così”.

L’ultimo anno è stato per lei un giro sulle montagne russe.
“Mi sto impegnando tanto, i risultati stanno venendo fuori, è matematico: più dai e più ricevi. A Parigi ero un altro rispetto alle qualificazioni, oggi un altro ancora dopo le olimpiadi. Voglio fare più attività possibile, passare pro ha proprio questo obiettivo, il focus rimane su Los Angeles 2028”.

Come riuscirà a fare entrambe le cose?
“Quando non ho attività con la nazionale, non starò fermo. Nel 2026 punto al titolo italiano da pro e poi a qualche cintura prestigiosa. A me manca l’esperienza, ho fatto solo 42 match e a Parigi ho affrontato gente con 200-300 incontri. A livello di volontà, di forza e atleticamente non mi manca niente. Devo stare sul ring il più possibile, tra i dilettanti e tra i professionisti”.

Come mai ha iniziato tardi?
“Avevo quasi 18 anni, prima facevo calcio, a 13 ho smesso e ho iniziato ad andare in palestra e fare culturismo, ma io cercavo l’adrenalina che dà la sfida uno contro uno”.

In che ruolo giocava a calcio?
“Attaccante, ovviamente. Ero forte, bassotto e cicciotto, litigavo con l’allenatore che non mi faceva giocare, oggettivamente ero il più forte. Poi in palestra ho cambiato fisico”.

Pugilato nel dilettantismo e nel professionismo, sono due sport diversi?
“Alle olimpiadi ha vinto chi aveva tanti match da pro. Ma anche il tedesco con cui ho perso aveva già esordito. Cambia il numero di riprese certo, il ritmo è diverso ma stare davanti ad un avversario è sempre molto produttivo”.

Lei cambierà il modo di fare boxe?
“Da pro potrò esprimere la mia boxe. Sono un picchiatore, basso per la categoria, con tanto ritmo, tanta velocità e tanta potenza, nel dilettantismo sono un po’ sacrificato. Anche nell’ultimo torneo ad ogni incontro sono uscito sempre alla distanza, carburo più tardi. Con i guanti più piccoli tra i pro verranno messe in evidenza le mie caratteristiche, potenza e velocità. Tra l’altro ho fatto i guanti con pugili pro in 6-8 riprese e sono andato bene”.

Sarà emozionato il 15 sul ring?
“Sono tranquillo quando salgo sul ring tra i dilettanti, forse fin troppo, dopo Parigi. Per la prima da pro, ci sarà pressione, ma la gestirà in modo positivo”.

Il suo pugile preferito?
“Non un peso massimo. Mi piace Canelo e soprattutto Gervonta Davis, uno che picchia in modo tecnico. Certo guarderò Fury- Usyk 2. Vincerà l’ucraino e nel suo match andrà ancora meglio del primo, poi la boxe è bella perché può succedere tutto. Anch’io a Parigi ho battuto Edwards che era il numero uno”.

Parigi le è rimasta nel cuore.
“Ho sempre sognato di diventare un atleta, all’inizio come calciatore. Bere un caffè con LeBron James, giocare alla play con Marcell Jacobs ti fa capire di essere un atleta di alto livello”.

Come era il clima tra le compagne di Nazionale, ancora oggi teso dopo le recenti polemiche tra Carini e Testa?
“Io sono un tipo molto solitario, non per egocentrismo, cattiveria o maleducazione, sono così da quando sono piccolo. Mi relaziono con tutti e vado d’accordo con tutti. Ma sono fatto così. No l’ho vissuta questa cosa, non mi ha pesato, io pensavo solo ai miei match”.

Nell’ultima serata TAF all’Allianz di Milano si è dimostrato molto spigliato anche al microfono.
“Quando sali sul ring con gente di 120 chili, parlare con un microfono non può farti paura”.

Quanto conta oggi per un pugile sapere fare queste cose?
“Conta il 50 per cento quanto sei bravo sul ring, il 50 quanto sei bravo a venderti. Io voglio diventare un personaggio. Voglio essere un attore come The Rock o Schwarzenegger, il mio idolo. Sono cresciuto guardando film come Predator, Terminator, i Mercenari”.

Il suo sogno è l’oro olimpico o un mondiale vero da professionista?
“E’ tutto nei piani, tra quattro anni l’oro e tra otto il mondiale”.


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