Demi Moore: «La vulnerabilità può diventare il vero punto di forza. Scoprirlo è liberatorio»
Ripubblichiamo l’intervista del direttore Simone Marchetti, pubblicata a giugno, una delle più apprezzate dalle nostre lettrici e dai nostri lettori nel 2024.
Questa intervista a Demi Moore è pubblicata sul numero 24-25 di Vanity Fair in edicola fino al 18 giugno 2024.
È stata la rivelazione di Ghost, per un breve periodo l’attrice più pagata del mondo (dodici milioni di dollari per Striptease nel 1996) e poi, come spesso, anzi quasi sempre, succede a Hollywood, è stata messa da parte per talenti più giovani o per altre riscoperte. Forse anche per questo Demi Moore ha accettato la parte nel film horror The Substance, premio alla migliore sceneggiatura all’ultimo Festival di Cannes, lungometraggio che narra l’ostinazione nel restare giovani, belle e quindi rilevanti. Lei, a dire il vero, l’elisir di lunga vita, lo stesso che è il cardine del film, sembra averlo bevuto davvero. La incontriamo il giorno successivo al Trophée Chopard, premio che l’ha vista madrina di questa nuova edizione. «Sono andata bene con il mio discorso, ieri sera, al Trophée?», mi incalza prima ancora che io le faccia una domanda. «Sa, mi trovo ancora a disagio, alla mia età, a parlare di fronte al pubblico».
Un’attrice a disagio nel parlare di fronte al pubblico?
«Sì. Gliel’ho detto. E insomma: sono andata bene o no?».
Direi benissimo… Però ho un’altra domanda: che cosa pensa dei due giovani talenti premiati, gli attori Sophie Wilde e Mike Faist?
«Ah, è stato un piacere vedere quanto sono diversi e quanta diversità hanno messo, quante sfumature hanno inserito nei personaggi che hanno interpretato».
Il premio, per sua definizione, mette in rilievo chi si è distinto in un debutto speciale. Quali sono i ruoli che l’hanno messa in risalto come star all’inizio della sua carriera?
«St. Elmo’s Fire. E ovviamente Ghost. Quest’ultimo inizialmente raccolse recensioni orrende. Mi scioccarono. Ricordo che, quando accettai il ruolo, mi dissi: questo film è un thriller, una storia d’amore e un fantasy. Tre pellicole in una, praticamente un disastro. Invece fu un grande successo. Da allora ho capito che dovevo fare scelte simili, scelte coraggiose».
Una strategia di vita.
«Sì. Perché se stai nella tua comfort zone non cresci mai».
Arriviamo a The Substance: come mai ha accettato un horror?
«La responsabilità è dell’uomo che vede là seduto nella stanza a fianco (lo indica, ndr): mi ha mandato lo script e mi ha detto che avrei dovuto sceglierlo perché era differente da me. L’ho letto e ho capito una cosa: avrei detto di sì perché mi avrebbe permesso di mostrarmi vulnerabile».
Non si sente vulnerabile?
«Lo sono, eccome. Ed è arrivato il momento di capire che la vulnerabilità è il vero punto di forza. La vita ti mette davanti cose e fatti che non sono sempre belli. Scoprirsi vulnerabili può diventare liberatorio».
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