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Delitto di Garlasco, i genitori di Chiara Poggi: «Era inimmaginabile che nostro figlio potesse essere accusato di aver ucciso sua sorella»

«A me gli innocentisti stanno bene, ma c’è modo e modo di sostenere l’innocenza di Stasi. Quando per salvare lui metti in mezzo altre persone, tra cui mio figlio, le sbatti in prima pagina e gli rovini la vita, cosa stai facendo? Assolvi lui e ne condanni altri cinque?». Sono le parole di Giuseppe, il padre di Chiara Poggi, intervistato con la moglie Rita da Il Fatto Quotidiano. Se per lunghe settimane i genitori della ragazza uccisa 18 anni fa a Garlasco hanno scelto il silenzio, da quando illazioni e ipotesi si sono fatte più forti e, per loro, sempre meno credibili, hanno deciso di parlare. Anche per difendere il figlio Marco, diventato, come e più di loro, vittima collaterale della nuova inchiesta sul delitto di Garlasco, tanto da essere accusato sui social di essere complice o addirittura assassino della sorella. «Era inimmaginabile che nostro figlio potesse essere accusato di aver ucciso sua sorella».

Come riporta Selvaggia Lucarelli nella sua newsletter, che anticipa le pagine sul giornale, «per smentire definitivamente la fake news secondo la quale Marco non era in montagna con loro, hanno affidato al “Fatto” la lettera che il 31 agosto del 2007 (18 giorni dopo l’omicidio) ricevettero a casa da Arthur Mutschlechner, il proprietario del rifugio “Fodara Vedla” sulle Dolomiti in cui Giuseppe e Marco Poggi, il giorno della tragedia, attesero il soccorso alpino». Nella lettera l’uomo ricorda «gli occhi di un marito e un figlio in pena per la salute della mamma e moglie, non ancora consapevoli della dolorosa notizia che sarebbe stata comunicata loro poco dopo».

L’albergatore «che avrebbe detto che Marco quell’anno non era con noi, in realtà ci ha affittato la stessa stanza per 10 anni. E Marco c’era sempre, fino al 2005 anche Chiara». Il padre spiega la necessità di mostrare questa lettera. «Dimostra che io e Marco quel giorno eravamo insieme in montagna con amici. Eravamo saliti fino a Croda del Becco, poi scesi giù superando il rifugio Biella, i telefoni non prendevano. Nel frattempo mia moglie aveva saputo della morte di Chiara e tentava di mettersi in contatto con noi». La moglie era rimasta a San Vigilio di Marebbe. «Quando arrivammo all’altezza del rifugio Fodara Vedla il proprietario ricevette la telefonata dal soccorso alpino, ci disse di aspettare lì. Ma ci riferì che mia moglie si era sentita poco bene, non disse la verità su Chiara. Perché? Per non darci angoscia. Poi il soccorso alpino ci ha presi, ho chiamato subito Rita e mi ha detto che Chiara era morta».

Non sono solo quei giorni a tornare nell’intervista, ma anche i processi e le nuove indagini. «Quello che mi stupiva era che Alberto Stasi consentisse ai suoi avvocati di dire quelle cose. Soprattutto nell’appello bis, quando l’avvocata Bocellari fece una requisitoria per cui perfino il giudice poi la richiamò per la cattiveria con cui parlava di Chiara. Non è mai intervenuto quando la difesa cercava di screditare Chiara…Fino al suo arresto andavamo insieme al cimitero. Mi aspettavo sempre che dicesse: “Mi stanno indagando, ma non ho ucciso Chiara”. Invece non lo diceva mai».

Sempio, le cugine Cappa, il santuario della Bozzola. «Oggi stanno dicendo che Sempio è un assassino per tre telefonate di pochi secondi quella mattina, ma Stasi che ha fatto tutte quelle telefonate dalle 10 alle 13, allora? E della bicicletta nera di cui Stasi non ha parlato?…È tutto per creare confusione. Dicono che la procura abbia in mano qualcosa, ma per ora di nuovo non vedo niente.. Per ora mi sembra che la procura indaghi a 180. Sono andati a prendere Marco, sono andati a perquisire gli amici di mio figlio… Forse potrebbero sentire gli amici di Stasi. Vorremmo un po’ più di silenzio, noi da marzo siamo stati catapultati in una situazione perfino peggiore di quella di 18 anni fa. Spero che finisca tutto presto, abbiamo diritto a vivere tranquilli».


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