degrado e incuria tra i responsabili
Roma comincia a bruciare prima ancora che l’estate arrivi davvero. E no, non è un’esagerazione giornalistica. È cronaca nuda e cruda, che si ripete di anno in anno come un copione maledettamente collaudato.
La stagione dei roghi è partita in anticipo e la città ha già dovuto fare i conti con decine di ettari di verde andati in fumo, strade bloccate, trasporti interrotti e l’aria resa irrespirabile.
Mercoledì 4 giugno, le fiamme hanno avvolto il parco della Torricella, nel quartiere Serpentara. Pochi giorni dopo, sabato 7, la Pontina è stata chiusa per un rogo divampato tra Castel Romano e Pratica di Mare.
Il giorno precedente, un altro incendio ha colpito Monte Mario: 13 ettari della riserva naturale sono stati inghiottiti dal fuoco, ancora una volta. Come nel 2024. E ancora: Garbatella, parco degli Acquedotti, ex Mira Lanza. È un bollettino in espansione, che spaventa e fa riflettere.
Dietro le fiamme, ci sono storie di incuria e responsabilità condivise. A Monte Mario, il fuoco è partito da un insediamento abusivo, già segnalato più volte dai guardiaparco di Roma Natura.
E proprio da lì si è accesa la polemica: l’ente regionale accusa il Comune di non aver agito per tempo, di non aver rimosso baracche e pericoli. Il Codacons rincara la dose: “Situazione critica mai risolta, nonostante gli incendi dello scorso anno”.
Nel frattempo, l’ex area industriale Mira Lanza – che avrebbe dovuto avviare i lavori di riqualificazione proprio nei giorni dell’incendio – è stata divorata da un rogo partito da un altro insediamento abusivo.
L’assessore Maurizio Veloccia ha parlato di operazioni complesse, di censimenti delle fragilità sociali effettuati a maggio, di strutture fatiscenti e tempi tecnici per la bonifica. Ma la domanda resta: perché, pur con quasi 4 milioni di euro già stanziati, non è stato possibile mettere in sicurezza quell’area prima che fosse, ancora una volta, troppo tardi?
C’è poi il tema delle sterpaglie. Il sindaco, proprio pochi giorni fa, ha firmato un’ordinanza che impone ai privati la pulizia dei terreni e il taglio dell’erba sotto i 50 centimetri.
Ma la stessa amministrazione, in nome della tutela della biodiversità, ha lasciato crescere la vegetazione in molte aree pubbliche. Intenti nobili, certo. Ma quando il verde diventa secco, il rischio diventa concreto, e spesso – come si è visto – devastante.
Infine, i rifiuti. Non solo quelli nei cassonetti stracolmi, ma le vere e proprie discariche abusive. Nel 2021 Legambiente ne ha censite oltre mille, mappate e georeferenziate.
E oggi? “L’aggiornamento lo faremo nel 2026”, fa sapere il presidente regionale Roberto Scacchi. Sarà interessante vedere quante ne sono state eliminate. Ma se il passato è indicativo, la risposta potrebbe non confortare.

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