definito il disciplinare (e la j al posto della i)
Il giandujotto volerà a Bruxelles armato di un ricco disciplinare per guadagnarsi la denominazione IGP.

“È leviòsa, non leviosà”. I fan piemontesi di Harry Potter da oggi potranno storpiare la celebre citazione di Hermione adattandola al famoso prisma di cioccolato: “È giandujotto, non gianduiotto”. Ebbene sì, il cioccolatino torinese per eccellenza è stato codificato – non solo nel nome – tramite un disciplinare di produzione presentato in questi giorni presso l’hotel Best Western Luxor nel capoluogo piemontese. Il documento contiene otto articoli che descrivono forma, colore e tutto ciò che serve perché il cioccolatino diventi IGP, una volta superato l’esame di Bruxelles. Tutti più o meno felici gli attori del settore; con qualche riserva, specialmente di Caffarel.
(Quasi) tutti d’accordo
È stata una riunione parecchio partecipata quella organizzata in occasione della presentazione ufficiale del disciplinare per il giandujotto IGP. In sala c’erano autorità istituzionali come il presidente della Regione Alberto Cirio e l’assessore al Commercio del Comune di Torino Paolo Chiavarino, ma anche attori dell’industria food and beverage come Roberto Bava del Consorzio di tutela del Vermouth di Torino I.G.P. e Sergio Germano del Consorzio Barolo e Barbaresco.
Caffarel, anche lei presente, non si è opposta alla procedura, ma ha chiesto di mettere a verbale la sua invenzione del giandujotto risalente al 1865, nonché la registrazione del marchio nel 1972 come “autentico gianduiotto di Torino”. Già negli scorsi anni la produttrice dolciaria aveva fatto partire un caso-giandujotto, proponendo addirittura di modificare la ricetta. L’azienda di proprietà Lindt, così come qualunque altro stakeholder del settore, avrà 30 giorni di tempo per inviare al Ministero dell’Agricoltura eventuali opposizioni, prima che la palla passi a Bruxelles per proseguire l’iter di riconoscimento del giandujotto IGP.
Cosa prevede il disciplinare
Quindi, come dovrà essere fatto, da disciplinare, questo giandujotto con la j? Forma, colore, odore e sapore saranno gli stessi che abbiniamo già al celebre cioccolatino: un “mattoncino” a prisma triangolare con angoli arrotondati, la cui forma rimanda a quella del cappello della maschera Gianduja, da cui prende il nome. Il peso può variare tra i 4 e i 12 grammi per i giandujotti lavorati a macchina e tra gli 8 e i 16 grammi per quelli realizzati a mano. Il colore deve essere omogeneo e, naturalmente, corrispondere a una sfumatura di marrone o marrone/rossiccio, con superficie opaca o lucida. Il sapore è quello inconfondibile di giandujotto: nocciola tostata, cacao e cioccolato, dal sapore dolce ma con un finale leggermente amaro.
Al naso deve rilasciare un intenso aroma di nocciola tostata, cacao, cioccolato e vaniglia. Morbido e solubile in bocca, il giandujotto deve nascere dall’unione di nocciola Piemonte I.G.P. tostata in percentuale dal 30% al 45%, zucchero dal 20 al 45% e cacao presente minimo al 25%. Chiare le indicazioni anche per il confezionamento: l’incarto esterno dovrà riportare la scritta “Giandujotto di Torino” in carattere Times New Roman, bianco o nero. Ad accompagnare il nome, una linea a forma di L che rappresenta la base e l’altezza obliqua del prisma, che rimanda al profilo della Mole. Infine, chiaramente, la produzione potrà avvenire solo nell’area del Piemonte.
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