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Dazi Usa, l’Ue valuta “risposte creative su servizi e proprietà intellettuale”. Ma per colpire Big tech servirà un voto a maggioranza


“Oggi non prendiamo di mira i servizi“, ma “tutte le opzioni sono sul tavolo. Non escludiamo risposte maggiori e più creative tramite servizi, diritti di proprietà intellettuale e altro”. Parola di un alto funzionario Ue che ha spiegato quali potrebbero essere le mosse di Bruxelles per rispondere ai dazi di Donald Trump. Quelli del 25% su acciaio e alluminio, in vigore da oggi, ma anche quelli che dal 2 aprile stando agli annunci del presidente potrebbero scattare su tutte le merci europee. Oltre alle tariffe reciproche di riequilibrio ufficializzate mercoledì, la Commissione ipotizza quindi di ricorrere per la prima volta a un nuovo strumento varato due anni fa come arma di difesa nei confronti della Cina: il “meccanismo anti coercizione. Una scelta che segnerebbe una netta escalation nei rapporti con Washington.

Qualcuno l’ha definito “bazooka commerciale“. L’esecutivo Ue può proporre di attivarlo quando ritiene che un Paese terzo stia utilizzando il commercio per far pressione sull’Unione (o anche su un solo Paese) e interferire con le sue scelte sovrane. Il meccanismo è di fatto una “cassetta degli attrezzi” molto ampia che comprende sia contro-dazi sia restrizioni alla partecipazione di aziende del Paese terzo agli appalti pubblici, eventuale ritiro delle licenze di importazione, preclusione dell’accesso ai mercati assicurativi e finanziari e limitazioni allo sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale. In concreto? Ai gruppi Usa potrebbe per esempio essere impedito di monetizzare servizi come lo streaming o l’uso dei loro software.

Sarebbe evidentemente un colpo senza precedenti, con inevitabili risposte da parte dell’amministrazione Trump che già accusa il Vecchio continente di danneggiare le multinazionali Usa con le web tax imposte da alcuni Paesi (anche l’Italia) e regolamentazioni come il Digital Markets Act e il Digital Services Act, oltre a contestare l‘applicazione dell’Imposta sul valore aggiunto. Ma il ricorso al meccanismo anti coercizione appare in salita anche per motivazioni interne all’Unione. Per attivarlo serve infatti un voto a maggioranza qualificata in Consiglio: devono esprimersi a favore 15 Paesi su 27 e occorre che le capitali che dicono sì rappresentino il 65% della popolazione del blocco. Se i maggiori Stati si spaccassero, sarebbe difficile arrivarci.

Intanto, di qui alla partenza dei dazi europei decisi come rappresaglia arriverà anche un’altra decisione che potrebbe influire in modo sostanziale sulle relazioni transatlantiche. Entro il 25 marzo è attesa la chiusura dell’indagine avviata nel 2024 dalla Commissione per verificare se Alphabet, Apple e Meta rispettano il Digital markets act, in base al quale le grandi piattaforme digitali (“gatekeepers”) sono tenute a garantire l’apertura dei servizi. Se verranno accertate violazioni scatteranno multe fino al 10% del fatturato annuo dei tre gruppi. La tensione è già altissima: a fine febbraio i rappresentanti repubblicani al Congresso Jim Jordan e Scott Fitzgerald hanno scritto alla Commissione lamentando che quella legge prende di mira le aziende Usa e ostacola l’innovazione. Qualche giorno fa le vicepresidenti Teresa Ribera e Henna Virkkunen hanno risposto facendo notare che i paletti fissati per definire i gatekeeper “non consentono alla Commissione di discriminare alcuna azienda in base alla localizzazione della sua sede” e difendendo il Dma con la motivazione che “permette alle aziende di diventare più indipendenti dalle grandi piattaforme digitali in termini di distribuzione dei loro prodotti e servizi e di sviluppare modelli di business innovativi” oltre a offrire “più scelte ai consumatori”. Obiettivi non particolarmente graditi alla Casa Bianca.

L’articolo Dazi Usa, l’Ue valuta “risposte creative su servizi e proprietà intellettuale”. Ma per colpire Big tech servirà un voto a maggioranza proviene da Il Fatto Quotidiano.


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