Dazi e rinnovabili: la transizione energetica rischia di rallentare
L’inasprimento delle tensioni commerciali globali potrebbe rallentare la diffusione del fotovoltaico e dei sistemi di accumulo energetico (Bess) negli Stati Uniti e in Europa, con un impatto stimato fino al -10% da qui al 2035. A calcolarlo è una nuova analisi di McKinsey.
Lo scenario peggiore ipotizzato dallo studio prevede dazi del 60% su tutti i prodotti cinesi importati negli Usa e del 20% su quelli provenienti da altri Paesi, mentre in Europa si parla di tariffe del 47,7% su moduli solari e batterie cinesi. In questo contesto, gli impianti solari negli Usa subirebbero un calo del 9% rispetto alle proiezioni attuali, mentre nell’Ue il calo sarebbe del 7%. Più pesante l’effetto sullo storage: i sistemi Bess europei potrebbero contrarsi fino al 10%.
Tuttavia, anche in presenza di tariffe, la transizione energetica non si fermerebbe. Merito della forte riduzione dei costi delle tecnologie tra il 2022 e il 2023, che consente – secondo McKinsey – di ipotizzare comunque una crescita oltre il doppio della capacità fotovoltaica installata rispetto ai livelli attuali.
Nel caso di uno scenario intermedio, simile a quello di fine 2024, si prevede che l’Ue raggiungerà 750 GW di capacità solare installata entro il 2035, mentre gli Stati Uniti arriveranno a 553 GW. Se invece si concretizzasse un ritorno a misure più protezionistiche (20% di dazi su merci cinesi, 25% su quelle canadesi e messicane e tariffe medie del 52% per i moduli dal Sud-est asiatico), la capacità solare americana si fermerebbe a 512 GW, mentre quella europea resterebbe invariata.
Sul fronte dell’accumulo, l’Europa potrebbe quintuplicare la capacità Bess nei prossimi dieci anni, grazie a una catena di approvvigionamento più diversificata rispetto al fotovoltaico. Sebbene la Cina sia dominante in entrambi i settori, le materie prime per le batterie (come litio e cobalto) provengono anche da America Latina, Africa e Australia.
McKinsey conclude che l’effetto complessivo delle tariffe sarà soprattutto quello di aumentare l’incertezza e i costi della transizione energetica, rallentandone i tempi senza però comprometterne del tutto l’obiettivo.
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